ciclotour 2019

Confortato dalle buone sensazioni avute nei giri di allenamento nonostante uno stop forzato per una fastidiosa bronchite e un forte raffreddore, dopo avere testato la condizione nel tradizionale giro di 135 km che comprende le salite di Sella Chianzutan e Passo Rest, il 21 giugno sono pronto a partire per questa ennesima avventura per raggiungere la Val di Fiemme in bici.
Ho scelto questo week end sia perché avrebbe riaperto l’Hotel Al Cervo di Tesero, meta usuale di questi viaggi, sia perché il viaggio avrebbe comportato il fatto di percorrere due passi dolomitici (Gardena e Sella) nel giorno del “Sella Ronda Bike Day” giro attorno al gruppo del Sella con traffico chiuso ad auto e moto.

primatappa2019

21 giugno Prima Tappa, Gradisca-Pocol (Cortina) 135 km
La necessità di evitare il previsto maltempo pomeridiano mi fa scegliere un orario di partenza piuttosto inusuale, anche se altre volte ero partito all’alba.
Sono le 5.48 quando faccio partire i vari registratori satellitari e parto da casa dopo una buona colazione.
Devo raggiungere Montereale Valcellina e seguo, all’inizio, la strada che percorro ogni giorno per andare al lavoro a Maniago, dopo mezz’ora esatta passo davanti alle caserme di Tauriano e dopo avere passato il torrente Meduna su una pista ciclabile finalmente ben tenuta, alla prima rotonda giro verso Tesis. Passato il paese dopo circa un’ora di percorrenza decido di girare verso ovest per la località del Dandolo, e un lungo tratto rettilineo in favore di vento mi fa arrivare al ben più lungo rettilineo che porta da Vivaro a Maniago. Dopo circa sei kilometri di strada praticamente dritta e in leggera salita arrivo alla grande rotonda che precede il nuovo “Ponte Giulio” che percorro girando poi subito per Montereale. Quando affronto la rampa che porta al tunnel che segna l’ingresso nella Valcellina ho percorso 30 km in circa due ore.
Appena passata la galleria noto il lago formato dalla diga di Ravedis ha un livello che non gli avevo mai visto ed in prossimità del lunghissimo tunnel (4 KM) che porta in direzione di Andreis e Barcis accendo i fanali della bici, indosso una giacca leggera ed un gilet che ha sul retro dei led rossi lampeggianti (la sicurezza non è mai troppa). Nonostante la lunghezza, la leggera salita e il rumore sempre forte e fastidioso, percorro il tunnel in circa venti minuti e superatene altri due, uno più corto ed uno di circa un kilometro, affronto le facili rampe che mi portano a Barcis dove ho intenzione di fare una sosta nel locale di clienti della mia banca. Trovo però chiuso e approfitto di un bar vicino per fare una seconda colazione. Ho percorso poco più di 40 km in poco meno di tre ore.
La strada che da Barcis, attraverso piccole località del comune di Claut porta verso Cimolais non è particolarmente impegnativa anche se in qualche tratto soffro il vento contrario. Arrivato al ponte sul Cellina che precede di poco l’ingresso al paese di Claut, imbocco sulla sinistra una pista ciclabile che mi auguro di trovare in buone condizioni. Purtroppo non è così e tra gli evidenti segni del passaggio di un gregge di pecore (caratteristica di molti dei miei giri di allenamento quest’anno) e i segni di temporali che hanno riversato sulla strada rami e detriti fatico un po’ più del dovuto: la strada (per la maggior parte in salita) mi consente comunque di evitare il lungo rettilineo che porta a Cimolais ed esce proprio sulle prime rampe della salita al Passo Sant’Osvaldo, prima “asperità” della giornata. Conosco bene la salita, impegnativa nel primo tratto poi abbastanza facile ed arrivo agli 827 metri del passo alle 10.20 circa, dopo quattro ore e mezza di viaggio.
La strada che porta a Longarone passando per la diga del Vajont non è tutta in discesa, nel tratto attorno all’abitato di Erto qualche breve strappo da un po’ fastidio e per evitarne uno entro nel paese vecchio. Arrivo al semaforo che regola il senso unico alternato nelle gallerie della diga proprio mentre scatta il verde e comincio così la veloce discesa verso Longarone, ai piedi della quale ci sarebbe una deviazione che mi permetterebbe attraverso il paese di Codissago, di immettermi sulla strada per Cortina evitando un lungo e fastidioso tratto su strada molto trafficata. La strada risulterebbe però chiusa e a malincuore decido di seguire la strada normale: appena passato il ponte sul Piave noto sulla destra una pista ciclabile che provo a seguire, ma che finisce nel niente senza nessuna indicazione. Mi trovo però all’inizio della salita che avrei dovuto percorrere con la scorciatoia e avendo notato che due ciclisti hanno percorso quel tratto in discesa, decido di provare a passare evitando gli sbarramenti. Uno scavo nel mezzo della strada impedisce il passaggio delle auto ma non delle bici e quindi, molto rinfrancato, riesco ad immettermi sulla strada verso Cortina direttamente a Castellavazzo. Avevo scelto di percorrere la vecchia strada di Alemagna (sostituita in lunghi tratti da gallerie) proprio per evitare il grande traffico ma appena percorso il primo tratto in comune tra le due strade, ho l’amara sorpresa di vedere che la prima galleria è chiusa al traffico in direzione Cortina per cui tutto il traffico viene deviato per la strada vecchia. Quattro km piuttosto fastidiosi con camion e macchine a gran velocità. Riesco ad immettermi nella vecchia viabilità non sbagliando strada in un bivio piuttosto complicato e mi avvio a raggiungere Perarolo, dove comincia una salita piuttosto impegnativa. Prima però mi fermo a mangiare un panino (veramente ottimo) in un bar posto proprio all’inizio della salita. Ho percorso a questo punto 92 km in sei ore e venti minuti.
La salita presenta subito il conto con pendenze intorno al 10/12 % ma poi per fortuna spiana e consente di evitare il grande traffico ed un impressionante viadotto che termina nei pressi di Tai di Cadore. Dopo sei km nei quali ho superato oltre 350 metri di dislivello, seguendo una viabilità alternativa comunque ben segnalata, arrivo a Tai di Cadore dove cerco subito l’ingresso per la pista ciclabile che trovo subito. La strada è in continua salita e passo via via le località che conosco per attraversarle nei miei viaggi verso le località sciistiche della Val Pusteria e nei pressi di Venas di Cadore mi fermo per bere un “radler” (birra e lemonsoda). Mi pentirò successivamente di non avere anche mangiato qualcosa. Quando arrivo nei pressi della vecchia stazione dei treni di San Vito di Cadore comincia a piovere e trovo riparo sotto una pensilina con tavole e panche. Sono passate da poco le 15.30 e ho percorso 118 km (me ne mancano 17 all’arrivo di tappa).
La sosta dura circa 40 minuti e visto che la pioggia ha accennato a diminuire (anche se non a cessare del tutto) deciso di vestirmi bene (copricasco, giubbotto e pantaloni impermeabili). Indosso anche dei parascarpe che però non si riveleranno essere così utili come il loro prezzo avrebbe giustificato.
Quando riparto decido di non seguire più la pista ciclabile e di seguire la viabilità ordinaria soffrendo un po’ sia per la pioggia che per il traffico, arrivo a Cortina dopo 11 km percorsi in poco più di un’ora e comincio a seguire le indicazioni per il Passo Falzarego, del quale devo percorrere i primi 6 km per arrivare in albergo nella località di Pocol. Ha smesso momentaneamente di piovere e ricomincia improvvisamente dopo che mi ero tolto giubbotto e pantaloni e perdo naturalmente tempo per rivestirmi. Mi mancano 6 km e circa 350 m. di dislivello per arrivare a destinazione e quando finalmente smette di piovere e devo togliere tutti i giubbotti comincio a fare un po’ più di fatica del preventivato e provo a mangiare qualcosa (frutta secca) che mi sono portato dietro. Facendo tanta fatica mi avvicino pian piano alla mia meta odierna e quando dagli ultimi tornanti si comincia ad intravedere la zona degli alberghi mi rincuoro un po’ (anche se prendo paura per la scivolata in un tornante di un motociclista con la Vespa). Gli ultimi metri sono in piano e dopo dodici ore dalla partenza (dieci di pedalate) parcheggio la bici davanti all’Hotel Villa Argentina, e raggiungo la mia camera dopo aver riposto la bici in garage mettendo ad asciugare i giubbotti.
Sono soddisfatto comunque nonostante la fatica degli ultimi km e dopo una buona cena raggiungo la mia camera dove riposando penso al da farsi per la giornata successiva quando è previsto maltempo ma anche schiarite, specie al mattino.
Sabato 22 giugno Seconda Tappa, Pocol (Cortina) Tesero (Val di Fiemme), 88 km.

secondatappa2019

Quando mi sveglio alle sette guardo fuori dalla finestra e delle schiarite nessuna traccia, ma almeno non piove. Faccio un abbondante colazione e quando, dopo avere pagato il (salato) conto mi appresto a prendere la bici in garage comincia a piovere. Faccio fatica a tirare fuori la bici dal garage perché alcuni motociclisti tedeschi hanno parcheggiato in modo veramente da deficienti. Non diluvia ma scende una pioggia insistente ma non fortissima anche se con gocce talvolta grosse. Visto che le protezioni hanno funzionato bene il giorno prima (a parte i parascarpe che restano nella borsa) decido comunque di partire, utilizzando il giubbotto impermeabile più leggero che ho visto che comunque dovrò percorrere quasi 11 km di salita con circa 600 metri di dislivello per arrivare ai 2107 metri del Passo Falzarego (ero convinto fossero 2017 e quindi continuavo a sbagliare i conti su quanto mi sarebbe rimasto da percorrere).
I primi tre km di salita sono piuttosto impegnativi, poi per fortuna la salita spiana un po’ per un paio di km per poi ridiventare impegnativa negli ultimi sei, quando mancano ancora 400 metri di dislivello. Non mi sembra di fare troppa fatica anche se le borse dietro rappresentano un peso non indifferente. Quando mancano circa tre km alla vetta smette di piovere ma decido ormai di tenere su i giubbotti (fa anche abbastanza freddo) pensando che eventualmente ne avrei potuto indossare uno asciutto per la discesa.
Avevo già accantonato dal mattino il progetto di affrontare, dopo il Falzarego il passo Valparola (altri 2 km di salita) e poi il Passo Gardena e il Passo Sella per ripiegare sulla discesa su Arabba e poi sul Passo Pordoi, dal quale poi avrei raggiunto in discesa (comune nella parte finale con quella dal Passo Sella) prima la Val di Fassa e poi la Val di Fiemme.
Raggiungo comunque la vetta del passo Falzarego dopo un’ora e 35 minuti, indosso un gilet antivento ed un giubbotto impermeabile più pesante ed affronto la discesa verso Arabba che termina subito dopo la località di Andraz. Per fortuna non piove ma la strada è bagnata, quindi la prudenza è d’obbligo.
Tra Andraz e l’inizio della salita al Passo Pordoi c’è un tratto di circa 11 km di saliscendi nei quali comunque si devono riguadagnare 200 dei metri di dislivello persi in discesa. Ho bevuto poco in salita e mi ricordo di una fontana poco prima di Arabba, ma probabilmente è stata spazzata via dalla piena del torrente di fine ottobre nell’ondata di maltempo che ha imperversato per tutti il Nord-Est. Decido così di fermarmi ad Arabba ed in una pasticceria mangio una fetta di torta e mi bevo un the caldo. Sono così pronto ad affrontare ancora una volta l’affascinante salita al Passo Pordoi e devo purtroppo constatare che nel frattempo ha ricominciato a piovere. Il maltempo non ha frenato i tanti appassionati che vogliono godere della chiusura al traffico del “Sella Ronda” e per fare il pieno d’acqua ad una fontana devo fare lo slalom tra bici e chioschi ai quali sono seduti per mangiare qualcosa decine di ciclisti.
Quando sono le 11.30 affronto le prime dure rampe del passo cominciando a notare che sono uno dei pochi ad affrontare il giro in senso orario, mentre la maggior parte delle centinaia e centinaia di appassionati lo affrontano in modo inverso. Qualcuno approfitta anche un po’ troppo della mancanza delle auto stringendo un po’ troppo le curve tanto che in alcuni tornanti sono costretti a frenare ed a sterzare per evitare me che sto salendo regolarmente all’estrema destra della strada. Riesco a mantenere una velocità decente (intorno ai sei km all’ora) e la salita in qualche tratto concede qualche momento di respiro soprattutto in prossimità di tanti tornanti (33 per la precisione) La salita è praticamente tutta a vista e una volta tanto guardando in alto e anche in basso dove è possibile si vedono solo ciclisti in fila e non autobus o auto e lo spettacolo è davvero entusiasmante. Si vedono ciclisti di tutte le stazze e con tutti i diversi tipi di bici (specialissime da corsa, mountainbike, bici a pedalata assistita) e ciclisti più o meno riparati dalla pioggia (una signora che trema dal freddo in maniera impressionante è costretta a chiamare i soccorsi). Proseguo con regolarità e comincio a pensare a come vestirmi per la lunga discesa. In prossimità degli ultimi 2 km e di due caratteristici sottopassaggi delle piste di sci comincia piovere un po’ più intensamente: due anni fa avevo percorso la stessa salita in un’ora e cinquanta minuti abbondanti (con il bel tempo) e quando arrivo in vetta scopro con piacere di averci messo quasi mezz’ora in meno (un ora e 28 minuti per la precisione). Sono molto soddisfatto ma devo pensare a prepararmi per la discesa dopo essere riuscito comunque a scattare una foto davanti al cartello che segna il passo. Ho ancora un giubbotto nelle borse, e lo indosso sotto a quello con il quale ho percorso la salita: sono naturalmente piuttosto sudato per lo sforzo ma credo di essermi riparato al meglio: berretto di pile sotto il casco, due giubbotti ed un gilet sopra la tenuta da ciclista a maniche lunghe e guanti da sci, che pur bagnati mi proteggono dal freddo.
Piove ancora quando parto in direzione Canazei e c’è anche nebbia: gli occhiali si bagnano quindi continuo con estrema prudenza. Percorro comunque gli undici km di discesa in 24 minuti e quando arrivo in centro a Canazei mi mancano ancora 34 km per arrivare in albergo a Tesero, tutti in prevalente discesa.
Come molti altri preferisco restare sulla statale invece che utilizzare la ciclabile che in alcuni tratti si allontana troppo dal percorso ideale: nei brevi strappi in salita che si trovano ogni tanto riesco a non fare troppa fatica, passo quindi velocemente tutte le località toccate dalla Marcialonga di sci di fondo, passo davanti ai trampolini per il salto con gli sci di Predazzo (che da lì a due giorni saranno scelti come sede della specialità per le olimpiadi 2026) e poi appena passato il paese di Ziano comincio gli ultimi km in leggera salita che mi porteranno a Tesero dopo poco più di sette ore dalla partenza e sei ore e mezza di pedalate.
Arrivo all’albergo al Cervo alle 15.15 accolto dalla titolare Francesca, porto subito la bici in garage mettendo ad asciugare tutti i giubbotti. La pioggia, che mi aveva risparmiato da Canazei fino all’arrivo, riprende con vigore appena entro in albergo, dopo che in alcuni tratti, specie in Val di Fassa e verso il Passo Rolle, si era vista anche qualche schiarita.
Non ho pranzato (a parte la fetta di torta ad Arabba) quindi dopo un breve riposo e una bella doccia calda esco dall’albergo per salutare l’amico Mario Trettel e per prendere un trancio di pizza che mi consente di arrivare tranquillo alla sempre ottima cena dell’albergo.
Domenica mattina il tempo è migliorato, come da previsioni, e quindi con l’amico Clerio, la figlia Alice ed il bassotto Ugo siamo saliti in funivia al Col Rodella per una escursione facile fino al Rifugio Sassopiatto nel gruppo del Sassolungo. Una camminata non troppo impegnativa (solo un po’ faticosa al ritorno nella parte finale) al ritorno dalla quale chiedo a Clerio di accompagnarmi all’Hotel Erica. Pochi giorni prima del mio viaggio era nata Chiara, la nipotina dei titolari dell’Hotel, altra meta dei miei frequenti viaggi in Val di Fiemme. Mi ero portato dietro una felpa per la piccola sulla quale avevo disegnato uno Snoopy sciatore con sullo sfondo il Latemar, la montagna che sovrasta le piste di sci di Pampeago, una delle più rinomate stazioni sciistiche del comprensorio. Salendo all’Hotel notiamo Elena, la mamma, che con la carrozzina sta scendendo verso Tesero accompagnata dal papà della piccola. Ci fermiamo al volo e quindi posso consegnare il regalo. Proseguiamo verso l’hotel per salutare i nonni Anna e Walter e poi Clerio mi riaccompagna all’albergo dove posso rilassarmi in vista della terza tappa, in programma per l’indomani.

Lunedì 24 giugno TERZA TAPPA TESERO-FELTRE 141 KM

terzatappa2019

Dopo la solita ottima colazione e dopo avere salutato Lorenza e la figlia Francesca, titolari dell’albergo, finisco di preparare la bici ed indossato un giubbotto leggero mi avvio verso Cavalese quando sono le 8.15, facendo subito un rifornimento d’acqua.
Passata velocemente Cavalese dopo pochi km prendo la deviazione per Castello/Molina di Fiemme ed incrocio l’amico Carmine Tomio (organizzatore di viaggi per le gare internazionali di sci di fondo) che col suo mega trattore (fa il boscaiolo) va in senso contrario. Fino alla rotonda dalla quale parte la strada per la val di Cembra che percorrerò dal lato sinistro del fiume Avisio la strada è prevalentemente in discesa, per poi proseguire, dopo la rotonda, prima in leggera salita poi in leggera discesa fino al bivio per Montesover, che raggiungo dopo 24 km e un’ora e trenta minuti circa di pedalate. La salita è breve (circa 3 km) ma presenta punte di pendenza al 15/16 %, con una pendenza media che si avvicina al 10%. Finita la salita mi aspettano una trentina di km piuttosto facili in prevalente discesa durante i quali attraverso località che ho conosciuto nei miei viaggi precedenti (Bedollo, Centrale) e dopo avere superato i laghi (artificiali) Piazze e Serraia arrivo a Baselga di Pinè (famosa per la sua pista di pattinaggio su ghiaccio di velocità). Ad una rotonda trovo la segnalazione per Montagnaga e con una veloce discesa arrivo nei pressi di Pergine Valsugana. Ho percorso a questo punto 52 km in tre ore e 10 minuti. Riesco a sbagliare nuovamente la strada per Levico Terme (capirò poi che avrei dovuto prendere la deviazione per Vetriolo Terme e Panarotta per poi costeggiare il lago di Levico praticamente in piano) ed invece mi ritrovo a ripercorrere la strada già percorsa in senso inverso l’anno scorso con quattro kilometri di salita al termine della quale però riesco ad approfittare (ma non troppo) di invitanti ciliegie prese direttamente dall’albero. Una veloce discesa mi fa arrivare a Levico Terme, dove noto subito una trattoria che però sembra un po’ troppo frequentata: decido di proseguire e dopo tre km ne trovo una più piccola ma altrettanto ben frequentata dove mi fermo per mangiare una pasta davvero molto buona e bere una birra. Con un contorno di patate ed il caffè il conto è molto onesto, 9 euro, posso proseguire rinfrancato avendo fatto una buona riserva di energia per la prossima salita che, alcuni anni fa mi aveva messo in seria difficoltà, verso Torcegno, attraversando le località di Roncegno Terme e Ronchi Valsugana.
Arrivando da Levico Terme risparmio un risparmio un Km e qualche decina di metri di dislivello rispetto al percorso che avrei fatto seguendo la ciclabile della Valsugana e pur avendola percorsa una sola volta, mi ricordo benissimo dell’ingresso a Roncegno Terme dove dopo un paio di tornanti trovo una fontana che mi permette di fare rifornimento d’acqua. La salita è piuttosto impegnativa, la strada è larga e tutta al sole ma la temperatura tutto sommato è ancora sopportabile. L’altra volta a Ronchi Valsugana presi un tratto in discesa sperando di accorciare la fatica prima di accorgermi di avere sbagliato strada, quindi stavolta sto più attento e posso continuare per Torcegno arrivando in cima alla salita dopo un’ora e dieci minuti e poco più di un’ora e dieci minuti di impegno nei quali ho superato poco più di 400 metri di dislivello.
Posso riposare nei successivi 9 km di discesa e dopo essere passato per il bivio per il Passo Manghen (che mi riporterebbe in Val di Fiemme dopo 23 km e 1600 metri di dislivello) sto attento a non sbagliare strada (consultando anche il navigatore) per prendere la strada per Strigno dove comincia la salita che porta dalla Valsugana alla zona del Tesino. Conosco molto bene la strada e dopo tre km di salita mi fermo a prendere fiato e a rifocillarmi un po’. Mi mancano ancora 4 km per arrivare a Bieno dove so che troverò un’altra fontana. Il caldo si fa sentire (una coppia approfitta della stessa fontana per far bere anche il proprio cane) e dopo cinque minuti di pausa affronto gli ultimi km che mi porteranno al Passo Forcella (920 m), il punto più alto della strada in direzione di Castello Tesino al quale arrivo dopo 11 km da Strigno nei quali ho superato oltre 500 metri di dislivello. Per arrivare a Castello Tesino dovrò passare per Pieve Tesino ed affrontare altri tratti di salita inframezzati da alcune discese e poco prima dell’ingresso in paese trovo sulla destra la deviazione che mi consentirebbe tre soluzioni. Una discesa su Grigno per poi (attraverso le scalette di Primolano arrivare ad Arsiè e quindi a Feltre), la salita a Cima da Campo dopo 700 metri di dislivello e undici kilometri in un ambiente tranquillo e rilassante. La terza soluzione, che è quella che intendo scegliere e che era l’obiettivo di partenza è di proseguire, dopo avere percorso i primi otto kilometri circa della salita a Cima Campo di deviare sulla sinistra per affrontare la “Strada della baia” che porta nei pressi di Lamon, paese noto per i fagioli e poco sopra la zona di Feltre. Dopo il bivio la strada prosegue in un impegnativo saliscendi per qualche km e quando finalmente trovo la discesa che sapevo di trovare (controllando l’altimetria con il satellitare) mi imbatto in un tratto di sterrato piuttosto rovinato di poco più di un kilometro con due tornanti che percorro con molta attenzione visto anche il peso delle borse che mi porto dietro. Incontro un ciclista in mountain bike che sta salendo dalla parte opposta che mi rassicura sul fatto che lo sterrato sta per finire e posso proseguire con più tranquillità in una strada che con numerosi e stretti tornanti (una ventina circa) mi porterà al bivio per la località di Roa (strada che ho già percorso altre volte) che lascio sulla sinistra per proseguire in faticosa salita per circa due km prima di prendere la discesa che mi porterà sulla statale che da Feltre porta a San Martino di Castrozza ed al Passo Rolle. Accendo le luci e sto per indossare un giubbotto per affrontare una lunga galleria in discesa (circa 900 metri) quando vedo sbucare un ciclista da una strada laterale (la vecchia sede stradale chiusa al traffico delle auto) e facendo attenzione ai tanti detriti sulla strada riesco ad arrivare al bivio per Fonzaso dove attraverso il paese eviterò la trafficatissima statale. Scelgo questa strada anche perché nel paese successivo (Arten) troverò un bivio che mi consentirà di arrivare a Pedavena (a 5 km da Feltre) dove ho intenzione di consumare la cena visto che in albergo non è prevista. Una ulteriore deviazione mi fa perdere un paio di minuti senza farmi guadagnare tanta strada come speravo e arrivo “lungo” al bivio di Arten, torno indietro di qualche metro ed affronto una impegnativa ma per fortuna breve salita disturbato da una fastidiosa telefonata pubblicitaria.
So che le salite non sono finite anche se brevi ed intervallate da altrettanto brevi discese e riesco a trovare la strada giusta che mi porterà davanti alla birreria. La grossa delusione della giornata è di trovare la birreria chiusa (al lunedì apre solo fino alle 18 e io arrivo alle 19.15) il che mi costringerà a trovare un posto per cenare a Feltre dopo avere preso possesso della mia camera.
Arrivo davanti all’albergo dopo 11 ore e un quarto dalla partenza (10 ore e cinque minuti di pedalata effettiva) e 141 km. Metto la bici in garage e dopo un breve riposo ed una doccia ristoratrice comincio l’odissea per trovare un posto per mangiare: dopo avere trovato chiusi tutti i posti che conoscevo ed avere deciso di approfittare del fast food vicino all’albergo trovo invece una paninoteca e devo accontentarmi di un comunque abbondante e gustoso panino. Un gelato alla vicina gelateria (che sta chiudendo) è il dessert che mi concedo prima di salire in camera per il meritato riposo disturbato dalla presenza di alcune formiche. Mi viene il dubbio che si possano essere attaccate alle mie borse in una delle soste che ho fatto ma mi parrebbe strano. Faccio fatica a riprendere sonno, e sarò sveglio per la colazione che per fortuna è prevista già alle sette.

Martedì 25 giugno, quarta tappa Feltre-Gradisca 111 km

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Fatta presto la colazione, anche qui ottima ed abbondante, alle 7.50 circa riprendo il viaggio per la tappa che mi riporterà a casa.
La statale in direzione Belluno è piuttosto trafficata ed anche impegnativa con un lungo tratto in salita, poi per fortuna una lunga discesa mi porta a prendere, all’altezza della diga sul Piave a Busche, la meno trafficata strada della sinistra Piave che seguirò fino a Mel dove dovrebbe cominciare la prima salita di giornata. Per fortuna le indicazioni sono molto precise e dopo un’ora esatta e 15 km percorsi nei pressi della località di Gus inizio la salita che mi porterà al Passo Praderadego, semisconosciuta salita che, tra l’altro, non ha trovato posto in un libro sulle principali salite del bellunese. Le pendenze si fanno subito severe (tratti al 10%) e dopo tre km arrivo al paese di Carve avendo già superato 220 metri di dislivello. Una discesa facile di 1,5 km conduce alla località di Valmaor dove inizia la parte più difficile della salita, che si rivelerà essere la più dura del viaggio. La strada si restringe e si impenna e le pendenze si fanno sempre più severe, si passa dal 12% ad un paio di km con una pendenza fino al 16%. L’andatura è meno che pedonale, non riesco a superare i 4 km all’ora e il peso delle borse non facilita certo l’avanzamento, tanto che in alcuni tratti la ruota davanti tende ad impennarsi e una serie di tafani mi da fastidio riuscendo anche a pungermi così che oltre alla fatica della pedalata devo perdere energie nel cercare di scacciarli. Anche gli ultimi 2,5 km della salita, pur presentando una pendenza media inferiore, presentano rampe molto ripide alle quali seguono tratti sempre in pendenza impegnativa. La durezza della salita è testimoniata dal tempo che ci metto ad arrivare in cima, un’ora e quaranta per fare 9 kilometri con un dislivello di 650 metri (al lordo del breve tratto in discesa). Sono molto soddisfatto quando posso finalmente scattare una foto davanti al cartello che segna il passo e mi preparo alla discesa, altrettanto impegnativa. Fa piuttosto caldo e non sono costretto a vestirmi troppo e dopo nove km di discesa arrivo a Valmareno nei pressi di Cison di Valmarino dove mi immetto sulla strada che da Valdobbiadene porta a Vittorio Veneto. Sono passate tre ore dalla partenza e il caldo opprimente mi sconsiglia di seguire il programma più “ardito” con la salita al Cansiglio da Vittorio Veneto per proseguire direttamente verso casa. Non posso però rinunciare alla solita pausa nel negozietto d’altri tempi che trovo a Lago, frazione di Revine, dove compro panini alla soppressa e una coca cola che finirò di consumare. più avanti.
Mancano comunque 70 km all’arrivo a casa e so già che soffrirò per il caldo sempre più opprimente. Attraverso strade molto conosciute esco da Vittorio Veneto e attraverso Cappella Maggiore mi avvicino a Cordignano e il confine tra il Veneto ed il Friuli V.G. per una strada che mi consente di mantenere una buona velocità. Arrivo così a Caneva e proseguo per Fiaschetti (punto altimetrico più basso del viaggio con i suoi 20 metri s.l.m.) dove prendo la deviazione per Ranzano, Vigonovo. La strada è in leggera salita e mi mette un po’ in difficoltà, così un parco all’uscita da Vigonovo con una fontana è una ghiotta occasione per rinfrescarmi e fare rifornimento d’acqua. Tolgo anche la canottiera tecnica che avevo indossato sotto la maglia da ciclismo per soffrire un po’ meno il caldo. Rinfrancato dalla sosta proseguo in direzione di Roveredo dove mi fermo ancora in un bar per bere un the freddo e mangiare un ghiacciolo.
Raggiunto San Quirino e la rotonda presso San Foca appena girato verso Spilimbergo mi fermo al lato della strada per scambiare la borraccia dell’acqua (ne tengo sempre una di riserva nelle borse) e una signora (che non mi riconosce ma è una lontana parente di Spilimbergo) si ferma per chiedermi se è tutto ok. Attraverso il ponte su Cellina e sorrido dell’ordinanza appesa a dei cartelli che segnalano la chiusura della pista ciclabile a lato del ponte, che è in condizioni così disastrose che nessun ciclista si azzarderebbe ad utilizzarla.
Alla successiva rotonda nei pressi di Vivaro pur vedendo che non è segnalata la chiusura del guado (sterrato) sul Meduna a Rauscedo, preferisco restare sulla nuova viabilità verso Spilimbergo, passo il ponte sul Meduna (stavolta utilizzando la ciclabile a lato che avevo già utilizzato all’andata) ma stavolta invece di proseguire per la strada che avevo fatto all’andata prendo una deviazione che attraverso strade poco trafficate mi porterà a Barbeano, quindi a Provesano e, attraversato il ponte sul torrente Cosa, finalmente a casa dopo 111 km percorsi in otto ore complessive (sette di pedalata)
Scatto una foto davanti al cartello di Gradisca per inviarla ad un amico, Alberto, che sapendomi in viaggio si era preoccupato un po’ per la mia sicurezza.
Nonostante la rinuncia al percorso pensato per la seconda tappa (ma col maltempo none era il caso di rischiare oltre) sono molto soddisfatto di avere portato a termine anche quest’anno questa piccola impresa.

Appendice friulana

quartatappa2019Ciclotour 2019

Confidando nello stato di forma dopo due giorni di relativo riposo decido di affrontare un giro piuttosto temerario, che prevede due salite piuttosto lunghe e impegnative, Monte Crostis da Comeglians e Zoncolan da Sutrio. Il giro non è molto lungo ma le due salite presentano un dislivello rispettivamente di 1400 e 1200 metri, e con l’ondata di caldo che ha colpito tutta l’Italia la fatica dovrebbe essere amplificata nonostante le altitudini da raggiungere.
Parto da Ovaro, in modo da arrivare alla macchina direttamente dalla discesa e i primi tre km sono un riscaldamento per la salita che inizia all’uscita del paese di Comeglians in prossimità di un bivio che porta alla Sella Valcalda a destra e, dopo avere attraversato una breve galleria, alle località di Mieli, Noiaretto e Tualis a sinistra. La salita comincia subito dopo la galleria e già si cominciano a vedere i cartelli che indicano altitudine, distanza dalla vetta e pendenza media. A Tualis sorrido quando vedo il cartello “Piazza Giro d’Italia” e una targa dedicata alla famosa competizione, visto che nel 2011 era previsto il passaggio per questa salita ma alla fine, dopo imponenti lavori di messa in sicurezza il tratto venne tagliato dal percorso. La pendenza si manterrà costante intorno al 10% fino alla fine della salita, la temperatura è ancora fresca (sono le otto circa) e riesco a salire con regolarità, fermandomi in prossimità delle fontane d’acqua (l’ultima a circa sette km dalla fine della salita). Controllo con il satellitare l’altitudine che aumenta con regolarità e approfitto dell’ombra garantita dal bosco che però anche qua ha subito i danni della tempesta di fine ottobre. Mi superano prima un ciclista solitario (che non vedrò più) e due a breve distanza che poi troverò fermi nel tratto che precede i tornanti finali. Quando dopo 12 km di salita affronto il primo tornante (che come i successivi offre splendide veduto sulla Val Degano e verso Sappada) le pendenze tendono ad aumentare un po’ e mi lascio sorprendere dal numero dei tornanti che ricordavo inferiore, saranno alla fine nove (quattro dei quali panoramici come il primo). Il tratto dei tornanti misura circa 1,8 km e si superano 200 metri di dislivello. Dopo l’ultimo tornante la salita continua per circa 1,5 km con pendenze inferiori ma anche con tratti impegnativi e quando arrivo al culmine della salita rimando sorpreso dal fatto che dopo avere visto tanti cartelli che segnavano la progressione della stessa non ce ne sia uno che indichi la sua fine: ricordo che c’era l’ultima volta che ero salito, probabilmente è stato sradicato dal vento. In ogni caso dopo una foto proseguo per quella che è chiamata “Panoramica delle Vette” una strada più o meno in piano che per un km circa è asfaltata e poi prosegue in sterrato. Per il Giro d’Italia del 2011 lo sterrato era stato sistemato ma ora è in condizioni disastrose, rocce appuntite che affiorano, ghiaia nella quale si affonda e quindi sono costretto a proseguire con molta cautela e molto piano (il tratto misura sette kilometri). A metà circa della Panoramica trovo un cavalletto con un divieto di accesso e subito dopo vedo una moto arrivare in senso contrario, penso che evidentemente sia salito da Ravascletto per la strada che devo percorrere io in discesa che inizia dopo una bella fontana restaurata di recente.
Noto subito come la strada sia piuttosto sporca, addirittura devo passare sopra grumi di terra che mostrano comunque il passaggio di bici e veicoli. Dopo circa cinque km di discesa con molta sorpresa vedo che la strada non c’è più, inghiottita da una grossa frana e resto un attimo perplesso perché non avrei nessuna intenzione di rifare in salita gli ultimi cinque km e soprattutto la Panoramica in quelle condizioni. Mi guardo in giro e noto i segni del passaggio di un trattore in quella che sembra una carrareccia, l’erba è alta ma si vede chiaramente che è un passaggio frequentato, anche se non di recente. Scendo piano con la bici alla mano, raccolgo rami e sterpaglie che devo disincastrare dalla catena e dopo un po’ sento il rumore di una macchina operatrice: controllo la mappa con il telefonino e vedo che non sono distante dalla strada verso Ravascletto che raggiungo dopo qualche acrobazia uscendo proprio al di sotto dei lavori di sistemazione della strada su un tratto che è in linea retta con la frana più a monte. Proseguo con molta cautela rischiando di salire su alcune rocce che non avevo visto e finalmente riesco ad inserirmi sulla statale che scende verso Cercivento e Sutrio dove comincia la salita per il Monte Zoncolan.
È ora di pranzo e proprio ai piedi della salita trovo un locale dove mangio una pizza e poco dopo l’una affronto i primi metri della seconda salita di giornata sentendo qualche rumore fastidioso dalla bici. Mi fermo per controllare e non notando niente di strano proseguo anche se di seguito scoprirò che il consumo delle pastiglie dei freni causerà un leggero attrito con il disco causando, forse, un impercettibile rallentamento. La strada è larga e le pendenze importanti, anche se non paragonabili a quelle del Crostis e qualche tonante in più aiuta a recuperare un minimo di velocità: una leggera brezza aiuta a lenire gli effetti di un caldo veramente opprimente e una telefonata del maestro del mio coro mi consente di rifiatare qualche minuto all’ombra. Il primo tratto di salita che misura circa 9 km nei quali si superano 800 metri di dislivello e un tratto di circa un km relativamente più facile precede la zona dei parcheggi e degli impianti di risalita per le piste di sci del comprensorio. Ho finito le scorte d’acqua e trovo due locali chiusi ma per fortuna con le indicazioni di un operaio trovo un piccolo bar che si trova proprio all’inizio del tratto più duro della salita, tre km con pendenza media superiore al 13%. Dopo avere bevuto un “radler” e riempito la borraccia con una bottiglia di acqua minerale riprendo a pedalare facendo subito, naturalmente, subito tanta fatica. I tratti pedalabili sono veramente pochi e avanzo a passo d’uomo trovando conforto solo nel sorseggiare un po’ d’acqua ogni tanto. Appena passato un ponticello a circa un km dalla vetta devo fermarmi a rifiatare e a cercare di concentrarmi sull’ultima fatica, che presenterà un tratto anche al 22% di pendenza. Finalmente però riesco ad arrivare in cima e dopo la foto di rito e avare scambiato qualche impressione con un ciclista straniero al quale racconto l’avventura del Crostis, comincio la difficilissima discesa del versante più famoso dello Zoncolan, quella che in 10 km e 1200 metri di dislivello mi porterà ad Ovaro. Ho conferma subito dei problemi ai freni, nei vertiginosi tornanti che si incontrano (anche qui pendenze intorno al 22%) proseguo con estrema prudenza preoccupato dal rumore che proviene dai dischi dei freni pur con le manopole rilasciate. Nella parte finale anche qui si notano le conseguenze della tempesta di fine ottobre 2018 con centinaia di alberi sradicati e non trovo la fontana che avrebbe dovuto essere posizionata all’inizio del tratto più impegnativo della salita, subito dopo Liariis. In ogni caso le difficoltà sono finite, approfitto della fontana messa all’inizio della salita ad Ovaro e posso raggiungere la macchina dove termina questo avventuroso e faticosissimo giro.

ciclotour 2019ultima modifica: 2019-06-29T18:56:29+02:00da maxpres8
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