ciclotour 2012

Ho atteso fino all’ultimo momento per decidere di partire per il mio solito giro annuale in bici con destinazione Val di Fiemme: fattori legati a situazioni familiari e personali non mi hanno consentito di allenarmi come avevo potuto fare negli ultimi anni e quindi avevo affidato la decisione ultima ad un test sulla lunga distanza che avevo effettuato mercoledì 20 giugno con il giro Gradisca-Sella Chianzutan-Passo Rest-Gradisca, due salite pedalabili e 135 km totali. Nonostante una congestione dovuta al fatto di avere bevuto troppa acqua ghiacciata prima di affrontare le prime rampe del Passo Rest sono riuscito a portare a termine brillantemente il giro e, verificate le condizioni di salute di mio fratello reduce da una delicata operazione ho deciso di confermare il viaggio prenotando gli alberghi.

 

 

PRIMA TAPPA: GRADISCA-BORCA DI CADORE 145 KM – 25 giugno 2012

 

Quando parto da casa per evitare sorprese e visto che comunque mi sveglio sempre presto parto sempre molto presto: stavolta addirittura alle 6.35 circa, la temperatura e gradevole e quindi i giubbotti restano nelle borse sempre pesanti nonostante contengano il minimo indispensabile per i quattro giorni di viaggio ed i due di sosta.

 

Verifico subito che purtroppo un rumore al movimento centrale permane nonostante l’intervento del mio meccanico di fiducia ma spero che la cosa non debba influire troppo sul proseguo del viaggio e mi avvio a superare il primo ostacolo importante che è caratterizzato dall’attraversamento del ponte sul Tagliamento in direzione di Dignano sul quale nel 2006 ho avuto l’unico incidente della mia “carriera” e che percorro sempre con preoccupazione visto il traffico abbastanza intenso considerata l’ora. Quando arrivo a Dignano vedo alla fermata dell’autobus Stefano, un collega di lavoro che sta attendendo il mezzo per raggiungere Maniago (non gli chiedo se abbia problemi con la patente) lo saluto e riparto.

Quando sto per arrivare a Villanova di San Daniele ricevo un graditissimo sms da parte di una amica che mi chiede conto di una gita in montagna del giorno prima con il mio coro alla quale aveva dovuto rinunciare per problemi fisici: mi attardo a rispondere non rinunciando a proseguire e la cosa mi mette di buon umore: un buon viatico per il viaggio.

 

Abbandono la statale per San Daniele del Friuli prendendo una strada secondaria che attraverso il paesino di Aonedis e successivamente le borgate di Ragogna mi permetterà di arrivare a Cimano e poi a Cornino. A muris di Ragogna incontro un altro collega, Claudio, che sta partendo per andare al lavoro: mi fermo e saluto anche lui, contento di questi incontri personali e “virtuali”. Intanto ho passato da poco la prima ora di viaggio nella quale ho percorso circa 16 km.

 

Ho programmato la prima sosta al monumento ad Ottavio Bottecchia nei pressi di Peonis dove scatto la prima foto del tour: ho percorso quasi trenta km in poco più di un’ora e tre quarti: continuo in piacevole saliscendi attraversando i paesi di Avasinis (da dove parte la temibile salita al Cuel di Forchia) Oncedis (dove faccio il primo rifornimento di acqua ricevendo la telefonata dell’amico Marco Dreosto che mi chiede ragguagli sui lavori da fare sulla mia automobile che gli ho lasciato proprio nella settimana in cui non mi serve) ed Alesso dove comincio a costeggiare il lago dei tre comuni dalla cui parte superiore, nella borgata di Somplago, parte la prima salita di una certa lunghezza e difficoltà. La strada che in circa dieci km mi porterà a Tolmezzo è comunque divertente: a salite non troppo impegnative fanno seguito discese anche di una certa lunghezza che mi permettono di recuperare un po’: arrivo ad attraversare il ponte sul Tagliamento a Tolmezzo dopo circa 3 ore e un quarto e 50 km percorsi: appena attraversato lo svincolo dal quale si dirama la strada per Villa Santina ricevo una telefonata dal maestro del mio coro con il quale mi accorderò sul calendario delle prove del coro, che dovrà subire una variazione in seguito alla concomitanza con la semifinale dei campionati europei di calcio tra Italia e Germania. Il traffico è piuttosto intenso e fastidioso e decido di fermarmi a Villa Santina per comprare qualcosa per il pranzo in un supermercato: consumerò il tutto in un appartato angolo della piazza del municipio di Enemonzo dove mi fermo alle 10.45: tra la fermata al supermercato e il pranzo anticipato “perdo” circa trenta minuti, ma l’importante è fare riserva di energia.

 

Mi aspetta infatti da lì a pochi km, dopo avere attraversato Socchieve ed Ampezzo la prima “asperità” della giornata, la salita a Cima Corso, una località in comune di Ampezzo il cui cartello indicatore è caratterizzato dalla segnalazione di una altimetria doppia: la salita è comunque lunga 10 km e presenta un dislivello di 400 m e la percorro in circa un’ora: una bella discesa chi fa perdere 200 m di dislivello precede l’inizio della salita verso Forni di Sotto che raggiungo per la vecchia strada attraversando anche una breve galleria chiamata sinistramente “Passo della Morte” evitando di prendere la nuova galleria ben più lunga e tutta in salita. Arrivo in centro a Forni di Sotto dopo 85 km e sei ore e mezza dalla partenza: un saliscendi con una impegnativa salita finale (con un lunghissimo rettilineo che sembra non finire mai) precede l’ingresso a Forni di Sopra dove faccio un ulteriore rifornimento d’acqua e comincio la salita che in circa 9 km mi porterà ai 1298 m del Passo della Ma uria. La salita non è troppo impegnativa ma a metà decido comunque di fermarmi per finire quello che mi ero preso da mangiare, visto che di lì a poco troverò i primi tornanti: faccio una ulteriore sosta per farmi una foto davanti al cartello che segnala la sorgente del fiume Tagliamento e verifico con sorpresa che il cartello che indica il confine tra il Friuli ed il Veneto è posto ben prima del passo. Arrivo comunque in cima al Passo della Ma uria dopo circa un’ora un quarto al lordo delle soste e dopo la foto di rito mi appresto ad affrontare la discesa che in otto km mi porterà a Lorenzago di Cadore: mentre salivo era caduta qualche goccia di pioggia ma speravo fosse una nuvola passeggera: invece dopo avere imboccato la strada che costeggiando il lago di Pieve di Cadore mi permetterà di raggiungere Calalzo senza passare per la trafficatissima statale (sulla percorribilità di questa strada secondaria mi aveva rassicurato un ciclista che avevo incrociato ad una fontana di Lorenzago) comincia a piovere in modo sensibile e devo fermarmi sia per indossare un impermeabile sia per coprire le borse che ho dietro la sella della cui impermeabilità non sono certissimo. Mentre sto per cominciare la risalita verso Calalzo comincia a piovere più insistentemente e trovo riparo sotto una vecchia casa dove trovo un altro ciclista al quale chiedo indicazioni per trovare l’ingresso alla ciclabile che appunto da Calalzo arriva fino a Cortina d’Ampezzo. Dopo 25 minuti l’acquazzone cessa e posso ripartire affrontando le dure rampe in salita che mi porterasella della cui impermeabilità non sono certissimo. sia per indossare un impermeabile sia per coprire le borse che ho dietro lanno sulla statale che percorro per circa un km prima di seguire le indicazioni per la pista ciclabile: le indicazioni non sono chiarissime, mi faccio prendere dai dubbi e perdo circa un quarto d’ora ma dopo una ripida salita finalmente mi inserisco nella pista ricavata dalla vecchia ferrovia ormai in disuso: il nervosismo dettato da questa ulteriore perdita di tempo viene compensato dalla soddisfazione di percorre una pista molto bella, non troppo impegnativa (almeno all’inizio). A questo punto sono passate circa 10 ore e mezza dalla partenza ed ho percorso 124 km. Prima di affrontare gli ultimi 20 km e 300 m di dislivello della tappa preferisco mangiare ancora qualcosa e riparto con un buon spirito, e pian piano passo attraverso paesi che in macchina avrò attraversato decine di volte per raggiungere le piste di sci di fondo vedendoli da un altro punto di vista, anche se la presenza della ciclabile si nota in molti punti visto che corre praticamente parallela alla statale, che attraversa in molti punti con alcuni sottopassaggi e gallerie. Arrivo nei pressi di Borca di Cadore dove ho prenotato all’albergo Villa Ines dopo circa un’ora e mezza e non riuscendo a trovare subito le indicazioni per l’albergo mi faccio un giro supplementare del paese affrontando anche alcune ripide rampe in salita: approfitto per prelevare al bancomat per pagare l’albergo il mattino dopo e finalmente riesco a trovare il mio obiettivo. Scendo dalla bici dopo 12 ore e un quarto dalla partenza e 148 km (al lordo di circa due ore per fermate e pause) e salgo nella mia stanza dove ho finalmente tempo per riposare un po’. Una cena molto sostanziosa è un buon viatico per una bella dormita che mi permetterà di recuperare un po’ di forze in vista della impegnativa seconda tappa dell’indomani.

 

SECONDA TAPPA – BORCA DI CADORE-TESERO 108 KM – 26 GIUGNO 2012

 

La colazione alla mattina presto, (alle 7.30) è ideale quando si tratta di riprendere il viaggio: mentre sto mangiando ho l’occasione di parlare con una delle proprietarie che si dimostra molto gentile e alla mano: il conto è già pronto e quando sono appena passate le otto recupero la mia bici, risistemo le borse e posso ripartire, non prima di avere fatto rifornimento d’acqua ad una fontana nei pressi dell’albergo. Ho notato che alcune macchine prendono la strada che passa a fianco dell’albergo, vedo da alcuni cartelli che si tratta della vecchia strada tra Borca e San Vito di Cadore e così decido di provare ad affrontarla. La scelta è felice perché evito di affrontare subito la salita che mi dovrebbe riportare in centro a Borca permettendomi di dirigermi direttamente verso la prima destinazione della giornata, Cortina d’Ampezzo.

IL primo tratto è molto facile, ci sono anche alcuni tratti in discesa e ne approfitto per scattare una foto al Pelmo che appare in tutto il suo splendore al sole del mattino. Una ultima discesa mi porta ad attraversare il ponte sul fiume Boite e la successiva, ripida salita mi porterà al centro di San Vito di Cadore, dove un ulteriore rampa mi permetterà di raggiungere la pista ciclabile.

La strada è sempre in leggera salita e la velocità ne risente, soprattutto quando sono costretto ad affrontare una impegnativa serie di saliscendi poco prima di Dogana Vecchia dove devo abbandonare la ciclabile perché diventa sterrata e quindi pericolosa a causa del peso delle borse: devo comunque solo attraversare la statale dove devo rifare l’abitudine al traffico. Dopo un’ora ho percorso circa 9 km, superando 200 m di dislivello in salita: arrivo a Cortina verso le 9.30 e per strade che conosco bene mi avvio ad iniziare la prima vera salita della giornata, il Passo Giau, che ha in comune con la salita al Passo Falzarego i primi sei kilometri fino alla località di Pocol. Sono sei kilometri che percorro in poco meno di un’ora. Ho percorso poco più di 20 km totali in due ore e venti minuti ma sono in perfetta tabella di marcia: conto infatti di arrivare allo scollinamento del Passo Giau prima di mezzogiorno. Al bivio di Pocol la strada per il Passo Giau presenta un tratto in leggera discesa, prima di affrontare il quale decido di immagazzinare energia mangiando quello che mi era rimasto del pranzo del giorno prima. Parto per affrontare così per la seconda volta questa salita da questo versante e le pendenze si fanno subito dure anche se non durissime: la salita è mitigata da quasi trenta tornanti che permettono di riprendere fiato. Lungo la strada incontro tantissimi ciclisti che si stanno preparando evidentemente per la “Maratona dles Dolomites” che si corre la domenica successiva e che prevede l’ascensione al Giau dall’altro versante. Riesco a salire senza avere momenti di crisi, comincio a controllare con il mio GPS sia i km percorsi che il dislivello superato e salgo alla velocità che avevo previsto. La fatica è mitigata dal fatto che il cielo è annuvolato e quindi la temperatura resta gradevole: raggiungo la cima dopo 10 km percorsi in circa 1 ora e 50 minuti, raggiungendo quota 2236, mille metri in più della partenza da Cortina. La foto è d’obbligo e me la faccio fare da un ciclista friulano al quale ricambio la cortesia scattandone una assieme ad un suo amico. Mi vesto bene per affrontare la discesa (anche se la temperatura vista l’altitudine è comunque sopportabile) e comincio la lunga serie di tornanti che caratterizzano anche questo lato della salita, molto più impegnativa e con pendenze più rilevanti. Metto così alla prova i freni che con i gommini appena cambiati fanno un rumore piuttosto fastidioso ma preferisco andare sul sicuro. Vedo ancora molti ciclisti salire, alcuni dei quali fanno tanta fatica tanto da intraversarsi sulla strada. Dopo dieci km di discesa arrivo a Selva di Cadore dove seguo le indicazioni per Alleghe: altri 5 km in discesa e arrivo al bivio nei pressi di Caprile che ben conosco (ci sono passato anche l’anno scorso e in tante altre occasioni) e dopo pochi km sono ad Alleghe dove decido di fermarmi in un locale per il pranzo. Gnocchi al pomodoro e una Coca Cola mi preparano ad affrontare la seconda metà del percorso odierno. Da Alleghe a Cencenighe Agordino sono circa 10 km ancora in prevalente discesa: poco prima di arrivare al bivio dove comincia la lunga salita al Passo San Pellegrino mi fermo per una sosta “fisiologica” e approfitto per indossare le bretelle catarifrangenti che mi sono portato dietro, considerato che subito dopo la deviazione comincia una lunga galleria. Mentre sto per imboccarla mi ricordo che l’avevo evitata un paio d’anni prima seguendo la vecchia strada, che percorro nonostante le segnalazioni di divieto d’accesso. Poco dopo un km mi ri-immetto sulla statale alla fine della galleria: mi restano 17 km e 1000 metri di dislivello in salita. La strada si fa impegnativa e solo nei pressi di Canale d’Agordo (paese natale di Papa Luciani ricordato in  numerosi cartelli – tra l’altro nel 2012 viene ricordato il centenario dalla nascita) la strada spiana un po’. Nonostante conosca molto bene la strada, mi sorprendo ad arrivare a Falcade prima del previsto: mi ricordo di una fontana alla quale vorrei fare rifornimento…non la trovo dove pensavo (in piazza) ma ne trovo un’altra poco più avanti. Il rifornimento è d’obbligo perché da lì in avanti la salita non mi darà respiro, devo infatti superare circa 800 m di dislivello in circa 10 km. IL primo obiettivo è raggiungere Falcade Alto, dove mi fermo ancora a bere, per poi affrontare l’ultimo tratto “umano” di salita prima degli ultimi terribili 6 km del Passo San Pellegrino dove troverò pendenze dal 15 al 18%. Questi ultimi 6 km cominciano al bivio con un altro passo, il Passo Valles, dove noto un cartello di strada chiusa: mangiando qualcosa di energetico mi avvicino al cartello e scopro che la strada per il Passo Rolle, che dovrei percorrere nella terza tappa è chiusa al traffico per frane: devo così riconsiderare l’itinerario, ma ci penserò più avanti, nei due giorni di riposo. La strada si impenna subito e una serie di ripidissimi tornanti mi fa guadagnare quota rapidamente ma non  mi permette di andare a più di 4/5 km all’ora, solo alcuni brevi tratti mi permettono di allentare l’impegno. Pur facendo tanta fatica non ho mai però la tentazione di mollare la presa ed appoggiare il piede per terra, mi sento bene e salgo nonostante il peso delle borse non sia certo d’aiuto. Superato il tratto dei tornanti che è lungo circa 4 km con un ultimo tratto quasi rettilineo dove un cartello indica la pendenza del 18% entro in Trentino e la strada spiana appena, prima di riprendere a salire con pendenze inferiori ma sempre impegnative: sento che sto finendo le energie e a 600 m dallo scollinamento devo fermarmi a mangiare un po’ di marmellata. Devo affrontare anche una lunga discesa e quindi è meglio essere lucidi e pronti. Arrivo al cartello del passo dopo tre ore nette di salita, come da previsione, e comincio subito la discesa verso Moena. Pur avendo percorso questa strada tante volte, sono convito che dai piedi della discesa all’albergo manchino solo 10 km, quando invece sono una ventina, come ben indicato dai cartelli stradali, molto precisi. Non mi demoralizzo e dopo avere percorso i 12 km della discesa in poco più di venti minuti, mi immetto sulla statale per Predazzo proprio all’altezza della partenza della Marcialonga di sci di Fondo. La strada è prevalentemente in discesa e mi avvicino velocemente alla meta: arrivo a Predazzo dopo 20 minuti e ricevo un SMS da Lorenza, la titolare dell’albergo al Cervo di Tesero dove sono diretto: la tranquillizzo sul fatto che sto arrivando e attraverso i paesi di Ziano e Panchià e supero con tranquillità maggiore di altre volte anche gli ultimi 4 km di leggera salita che mi portano a destinazione, dove arrivo alle 18.50 circa, dopo 108 km e nove ore e un quarto di percorrenza netta, al lordo delle soste, e oltre 2600 m di dislivello totale in salita. Stanco ma soddisfatto entro in albergo e saluto Lorenza che mi aspetta nella nuova Hall recentemente ristrutturata. Giusto il tempo di una bella doccia e sono pronto per la cena, ancora una volta ben meritata.         

 

TERZA TAPPA – TESERO-FELTRE 29 GIUGNO 2012 117 KM

 

I due giorni di sosta in Val di Fiemme mi permettono di recuperare un po’ dalle fatiche, anche se cerco di rilassarmi con alcune passeggiate impegnative solo a causa del grande caldo, ma anche a pensare all’itinerario della tappa che devo ripensare in seguito alla chiusura della strada per il Passo Rolle. Nonostante sia stato messo al corrente di una strada sterrata che mi consentirebbe di superare il tratto di strada chiusa, preferisco cambiare radicalmente i miei piani: fidandomi della inaspettata forma che ho scoperto di avere nelle prime due tappe decido di affrontare per la seconda volta nella storia dei miei giri in bici lo “spauracchio” Manghen, una salita di 16 km con circa 1200 m di dislivello. La successiva discesa in Valsugana mi consentirà poi di affrontare, per arrivare a destinazione, una salita che l’anno scorso avevo preferito evitare, Cima da Campo da Castello Tesino.

Dopo la colazione e i saluti a Lorenza, titolare dell’albergo, e dopo il pieno d’acqua in una delle tante fontane di Tesero, decido di raggiungere l’inizio della salita per la pista ciclabile della Val di Fiemme evitando così il traffico della statale ed i passaggi a Cavalese e Molina di Fiemme. Poco dopo le otto sono in viaggio e affronto subito la discesa che attraverso la frazione di Lago (dove costeggio lo stadio dello sci di fondo che ospiterà i campionati mondiali nel febbraio 2013) e la  divertente pista ciclabile mi porterà all’inizio della salita. Passo davanti al luogo della tragedia della funivia del Cermis e all’altezza della “cascata” sul torrente Moena trovo la pista ciclabile chiusa. Sono costretto ad attraversare il torrente Avisio sul ponte che tante volte ho attraversato durante la Marcialonga di sci di Fondo (si nota benissimo sulla destra l’inizio dell’ultima faticosissima salita detta appunto “della cascata” ) per affrontare l’ultimo kilometro prima della rotonda che segna l’inizio della salita. Sono partito da mezz’ora ed ho percorso circa 10 km quando affronto le prime rampe, che si dimostrano abbastanza impegnative. Nella prima metà della salita la strada è larga, con pochissime curve e le pendenze non sono mai eccessive, ed in alcuni casi salire è molto piacevole, tanto che nonostante una pausa “fisiologica” che sono costretto a prendermi arrivo in località “Ponte della Stua” dopo appunto otto km in poco più do un’ora e dieci minuti. A questo punto la strada si restringe ed è percorribile praticamente solo dalle auto e dalle numerosissime moto che mi sorpassano, alcune delle quali danno proprio fastidio con il rumore eccessivo. Per fortuna la strada è immersa nel bosco e quindi la fatica dettata dalle pendenze che si fanno subito più importanti è mitigata dalla frescura data dal percorso praticamente in ombra. I tornanti non sono comunque tantissimi  e questo non facilita la salita. Dopo circa un’ora nel bosco esco allo scoperto dopo avere percorso 13 km di salita  affronto la parte più dura, gli ultimi tre km che sono quasi tutti allo scoperto. Le pendenze aumentano in prossimità di una malga e due tornanti ripidissimi fanno aumentare subito quota: un breve rettilineo con pendenze più tranquille è il preludio all’ultimo tratto con tante curve e pochi momenti di respiro, ma ormai il più è fatto. Dopo 16,2 km di salita percorsi in circa 2 ore e tre quarti arrivo al passo, dove mi fermo a scattare la foto di rito. Non fa freddo e nonostante i 2047 metri è sufficiente un gilet leggero per proteggermi nella lunghissima e molto impegnativa discesa successiva. Ad aggiungere difficoltà alla discesa ci si mettono una lunga serie di Porsche, (evidentemente un raduno europeo) una delle quali mi sfiora in un tornante. Lanciando le imprecazioni del caso continuo la lunga strada che mi porterà a Telve dopo circa 35 minuti. Trovo subito un supermercato per prendermi qualcosa da mangiare (la cassiera mi chiede se ho fatto il Manghen e mi chiede per dove proseguirò) e imposto il navigatore satellitare per trovare la strada che nella alta Valsugana è sempre complicata da decifrare. Arrivo così a Strigno dove comincio a riconoscere la strada percorsa qualche anno fa e cerco un posto dove fermarmi a mangiare. La salita comincia a farsi impegnativa anche perché è quasi l’una ed il sole picchia forte. Mi fermo all’ombra in uno slargo a lato della strada e mi mangio un panino. Quando ripartirò, verificherò che a poche centinaia di metri ci sarebbe stata un’area attrezzata con panchine e tavoli, ma la cosa mi farà solo sorridere. La salita continua ed affronto le rampe che mi porteranno, attraverso il passo della Forcella ad entrare nel territorio del Tesino. Raggiungo la forcella poco dopo le 14 ed una sosta nel paesino di Bieno dove mi ricordavo benissimo la posizione di una fontana. In discesa raggiungo Pieve Tesino e successivamente il leggera salita Castello Tesino ed ho la piacevole sorpresa di trovare all’inizio del paese il bivio per la strada che devo affrontare, detta strada provinciale del Celado. Dopo un inizio tranquillo, quando affronto le prime impegnative rampe vengo raggiunto da un ciclista che mi chiede da dove arrivo e dove sono diretto e al quale chiedo conferma sulla percorribilità della strada dato che ho visto un cartello all’inizio che preannunciava interruzioni al traffico. Mi sono studiato bene la salita su un libro e attendo con ansia di trovare un tratto in falsopiano che mi permetterà di recuperare un po’ di energia. L’ambiente è veramente magnifico, la strada tranquilla con quasi totale assenza di traffico, stretta ma molto ben tenuta ed è veramente un piacere pedalare in mezzo a prati ben curati, stalle e piccole case. Quando stanno per cominciare gli ultimi 5 km di salita trovo un bar e decido di fermarmi a bere una coca cola: le prime rampe sono molto ripide, ma di lì in poi sarà un susseguirsi di strappi in salita e brevi discese: arrivo ai 1440 m di Cima da Campo quando sono circa le 16.15 e indossato ancora il leggero gilet mi “lancio” nella lunghissima discesa verso Arsiè, attraverso la località turistica di Col Perer. Le condizioni dell’asfalto peggiorano, c’è molta ghiaia e sto molto attento a non prendere velocità. Arrivo ad Arsiè dopo 18 km di discesa e già comincio a pregustare il premio per questa fatica che sto portando a termine: avendo prenotato a Feltre in un albergo dove non c’è ristorante, devo risolvere il problema della cena. Dopo avere percorso un paio di km della trafficatissima statale verso Feltre esco in direzione della zona industriale di Fonzaso ed arrivo ad Arten, da dove mi ricordo che parte una strada che arriva direttamente a Pedavena, sede dell’omonima birreria  dove si mangia sempre molto bene: trovo subito le indicazioni e per una strada sempre in leggera salita ma che passa in una zona molto tranquilla e “bucolica” arrivo davanti alla mia meta dove ordino un bel piatto di wurstel e patatine e naturalmente, una bella birra. Dopo avere mangiato e bevuto di gusto (il locale è molto affollato nonostante siano da poco passate le 18) inforco la bicicletta ed in costante, leggera e piacevole discesa raggiungo il centro di Feltre dove non ho difficoltà a trovare l’albergo, che ho già frequentato altre volte, dopo 117 km percorsi in poco più di nove ore. Nonostante la sosta in birreria ho ancora un po’ di appetito e quindi dopo avere riposato e fatto una bella doccia mi dirigo verso una pizzeria che conosco dove gusto una bella insalatona ed un gelato. Posso così tornare in camera pensando a riposare in vista dell’ultima tappa, quella del ritorno a casa.

 

QUARTA TAPPA FELTRE-GRADISCA 30 GIUGNO 127 km

 

Con la colazione alle 7.30 ormai riesco a rispettare i tempi e quindi riesco a lasciare l’albergo un paio di minuti dopo le 8. Per raggiungere Ponte nelle Alpi ci sono due strade da Feltre: una che passa alla sinistra del Piave una alla destra. La prima l’ho percorsa molte volte e stavolta decido di percorrere la diretta che nelle mie intenzioni dovrebbe farmi passare per il centro di Belluno e poi raggiungere il primo obiettivo per una strada oggettivamente molto trafficata.

I primi km sono comunque i soliti e prendo la deviazione in prossimità di una diga sul Piave che mi fa entrare nel paese di Busche famoso per la sua latteria, che si vede in bella evidenza a lato della strada. Per una ventina di km la strada è un susseguirsi di saliscendi e appena fuori Sedico, mentre mi sto avvicinando a Belluno, affronto un lungo rettilineo costantemente in salita che mi fa faticare un po’. Quando sto per entrare a Belluno mi faccio confondere dalle indicazioni stradali ed invece di attraversare la città mi ricollego alla strada che arriva da Mel, Trichiana (sinistra Piave) e passando anche una galleria arrivo al bivio sulla statale di Alemagna dove vengo preso da un dubbio: fortunatamente prendo a sinistra al bivio e dopo una breve salita arrivo al semaforo all’incrocio con la strada che avrei dovuto percorrere originariamente. Sono diretto a Longarone ma non voglio percorrere la statale che presenta un traffico intenso e fastidioso e così, come da programma, appena raggiungo il bivio per Soverzene attraverso nuovamente il Piave per risalire a Longarone per strade molto più tranquille, confortato dal fatto che anche altri ciclisti hanno fatto la mia scelta. Una specie di breve circonvallazione mi evita un tratto in salita e poco dopo un tratto che percorre un tratto molto brullo (che ricorda le nostre Grave) una breve rampa mi conduce a Provagna, dove mi rendo conto di dove avevo sbagliato in occasione del giro di qualche anno fa quando avrei voluto percorrere al contrario l’itinerario odierno.

Poco fuori Provagna approfitto di una fermata dell’autobus riparata dal sole per finire i panini avanzati dal giorno prima e entro nel bar di fronte per bere una Coca Cola: per fortuna ce l’hanno solo in bottiglia di plastica da ½ litro così ne bevo solo una parte e posso conservarla per il proseguo del viaggio. Dopo poco più di 50 km e circa tre ore e mezza dalla partenza arrivo all’inizio della strada per il Passo Sant’Osvaldo che passa per Erto e la diga del Vajont: comincio ad incrociare numerose moto sulle prime rampe della salita che non è troppo difficile e con alcuni tornanti che permettono un po’ di recupero. A lunghi rettilinei al sole seguono altrettanti rettilinei più riparati e posso godere quindi di un po’ più di fresco. Dopo 5 km di salita percorsi in 40 minuti circa arrivo al semaforo che regola il traffico nei pressi della diga del Vajont: Naturalmente i tempi sono calcolati per un transito in auto e devo stare molto attento a tenere la destra quando viene il mio turno: non mi sono mai fermato in galleria per “ammirare” la diga ma questa volta faccio un eccezione e scatto anche una foto. Quando si esce dalla serie di gallerie, oltre che notare il paesaggio lunare causato dalla frana del 1963, si affronta anche il tratto di strada più impegnativo in salita che termina in corrispondenza di una piccola zona industriale. Quando sto per arrivare ad Erto decido di passare, per la prima volta in vita mia, per il paese vecchio, quasi abbandonato dopo il disastro di quasi 50 anni fa: il paese è molto caratteristico con case molto alte e strade molto strette: sono in corso alcuni interventi di recupero e penso che i fondi spesi per la costruzione del paese più in alto avrebbero benissimo potuto essere spesi per il recupero del paese vecchio.  Riprendo comunque la strada normale ed arrivo al Passo S.Osvaldo dopo quasi 5 ore e 66 km percorsi. Dopo poco più di 2 km e mezzo arrivo a Cimolais e subito devo constatare che, come temevo, c’è un vento fortissimo che soffia naturalmente in senso contrario alla mia direzione di viaggio. Il tratto quindi da Cimolais che attraverso Claut mi porterà a Barcis si rivela più impegnativo del previsto. Faccio l’ultimo rifornimento d’acqua a Claut e poi, dopo avere costeggiato il torrente Cellina dove sono numerosi i bagnanti che cercano refrigerio, arrivo ad attraversare Barcis e mi accingo a superare due lunghe gallerie per cui mi preparo al meglio: bretelle catarifrangenti e fanali accesi. La prima galleria è lunga un kilometro e non crea particolari problemi: la seconda è lunga invece quasi 4 km e con il rumore delle auto e il movimento d’aria causato dai ventilatori si rivela piuttosto fastidiosa, anche perché il primo km è leggermente in salita. Quando dopo avere superato l’ultima breve galleria che segue la breve salita che costeggia il lago creato con il nuovo sbarramento di Ravedis mi riaffaccio sulla pianura friulana ho da poco superato i 95 km e le sei ore e mezza di viaggio.

Decido di proseguire per la strada più diretta che mi riporterà a casa e quindi passo per Maniago, Colle di Arba e Sequals in un percorso non completamente in discesa, almeno tra Maniago e Colle. Scelgo questa alternativa anche perché spero, una volta entrato nel territorio di Spilimbergo, di trovare aperto nei pressi della zona industriale il classico chiosco delle angurie: non vedo tanto movimento però il chiosco è aperto e ordino subito due grosse fette, fresche al punto giusto e trovo immediato ristoro: tra i quattro euro più ben spesi della mia vita.

Ormai mancano poco più di otto km al termine delle mie fatiche che affronto con la massima tranquillità possibile.

Arrivo a casa circa alle 16.15, dopo 127 km e sette ore e mezza di percorrenza effettiva.

A parte una scottatura dovuta al fatto che ho indossato, incautamente, una maglia senza maniche nell’ultima tappa, mi resterà la sensazione di una bellissima esperienza, di salite anche molto impegnative affrontate senza mai avere avuto la tentazione di poggiare il piede e, grazie alla variazione del percorso della terza tappa dovuta a cause di forza maggiore, alla soddisfazione di avere percorso una salita, Cima da Campo, che avevo rinunciato a “scalare” nel corso del giro del 2011.

Meglio di così non poteva andare.

Adesso pensiamo all’itinerario del 2013

ciclotour 2012ultima modifica: 2012-07-10T20:44:00+02:00da maxpres8
Reposta per primo quest’articolo