ciclotour 2007

CICLO TOUR 2007

 

PRIMA TAPPA

GRADISCA – FELTRE 116 KM.

 

 

Per la prima tappa del mio giro annuale in bici sulle dolomiti scelgo quest’anno di ripetere in senso contrario l’ultima tappa del giro 2006, scegliendo però di allungarla un po’ per arrivare fino a Feltre a differenza dell’anno scorso dove mi ero fermato a Mel, qualche km prima.

Se fosse stato praticabile il nuovo ponte tra Tauriano  e Vivaro la scelta del percorso iniziale sarebbe stata obbligata, anche perché con la nuova viabilità collegata al ponte il tragitto sarebbe stato un po’ più corto: invece, volendo evitare un eventuale cantiere aperto ed il passaggio sul guado ormai quasi privo di manutenzione, decido di attraversare il Meduna all’altezza del guado di Rauscedo, ben asfaltato, il che mi permette anche di scaldare bene le gambe visto che il primo tratto è tutto in leggera discesa.

Immessomi sulla strada che dopo Vivaro porta verso Aviano e la pedemontana e dopo avere attraversato il ponte di San Foca, ho la piacevole sorpresa di trovare la strada che evita il centro di quest’ultimo paese in veloce discesa e così continuo molto piacevolmente verso san Quirino (dove trovo una interruzione stradale che mi disturba un po’) e Rovereto, dove prendo la deviazione per Sacile puntando su Vigonovo. Costeggio per un po’ la base aerea di Aviano (ed infatti vedo alcuni aerei in fase di atterraggio) e riesco a non confondermi ad una rotonda nella quale prendo la direzione di Fontanafredda ed arrivo a Vigonovo, dove dopo un attimo di dubbio riconosco un tratto di strada percorso l’anno scorso e riesco a scorgere dopo una curva il cartello per Fiaschetti, località dove mi riammetterò sulla strada che da Aviano porta a Caneva su un incrocio che segue di pochi metri il semaforo dove l’anno scorso ho sbagliato strada arrivando fino alla pontebbana a sacile allungando il percorso di alcuni km.

Da Fiaschetti a Caneva il percorso è breve e ap profitto di una sosta per un primo rifornimento a base di alcuni panini all’uva che mi sono portato dietro e per un prelievo bancomat.

La strada si fa ora più trafficata e mi dirigo verso Vittorio Veneto: un cartello indica circa 16 km. Scelgo di non seguire le indicazioni dirette e devio per Cappella Maggiore seguendo una strada che mi permette di evitare il traffico della Pontebbana. Arrivo a Vittorio Veneto ed il traffico si fa quasi insopportabile: non mi ricordavo che il lunedì c’è mercato e la mancanza di indicazioni precise mi fa perdere un sacco di tempo a girovagare per le bancarelle in cerca di un cartello: sono costretto a chiedere indicazioni ad un signore che mi consiglia di proseguire sulla strada verso Belluno ed infatti dopo un paio di km trovo il bivio per Valdobbiadene e Revine Lago: la strada si fa impegnativa ma un po’ di saliscendi mi permettono di non fare eccessiva fatica ed arrivo a Tovena, frazione di Revine da dove parte la strada che attraverso in Passo san Boldo porta fino a Trichiana sulla strada che costeggia la riva sinistra del Piave e che mi porterà fino a Feltre.

Al centro del paese l’accesso ad una fontana sembra impedito da alcuni lavori in corso, ma riesco ad entrare lo stesso per riempire la borraccia e scambiare qualche parola con un anziano operaio sorpreso dal vedere quanta roba mi sia portato dietro nelle borse: cerco di spiegargli che starò via una settimana e che ho cercato di portare con me il minimo indispensablile.

Comincio così la prima ed unica salita della giornata, il Passo San Boldo, che in sei km mi porterà fino a 700 m di altitudine con 450 m di dislivello: il primo tratto è pedalabile e incontro subito il cartello che indica il 18° tornante: dopo due km la salita si fa più impegnativa e anche il caldo umido si fa sentire: sento che ho bisogno di un po’ di energia e mangio alcune barrette al sesamo caramellato che mi sono portato dietro che si dimostrano subito efficaci.

Il tratto intermedio della salita che ha una pendenza media del 9 % si conclude a un km dalla vetta dove la pendenza cresce fino al 10% e la strada è caratterizzata da una impressionante serie di tornanti letteralmente scavati nella roccia (sono complessivamente 8). La strada è stata costruita durante la prima guerra mondiale ed è conosciuta come la “strada dei cento giorni” nel corso dei quali il “genio zappatori” del regio esercito austriaco ha ricavato una strada seguendo le tracce di un vecchio sentiero di epoca romana. Vorrei riprendere l’ultimo km con una piccola telecamera che ho acquistato di recente ma mi accorgo di avere dimenticato a casa la fascia che mi permette di allacciarla alla testa e devo a malincuore rinunciare. Sono talmente arrabbiato che quasi dimentico di documentare la “scalata” e riesco a scattare due foto ai tornanti, l’ultimo dei quali è a circa 200 m dallo sconfinamento. Non scatto una foto davanti al cartello del passo perché sarebbe esattamente uguale a quella dell’anno scorso. So che in cima ci sono delle trattorie e approfittando del fatto che sono molto presto (non è nemmeno l’una) mi fermo alla trattoria “Laris” (ladri, in friulano) che però si dimostra molto a buon mercato. Rifocillato e ritemprato da un buon caffè inizio la discesa verso Trichiana che è molto dolce e tranquilla anche se a circa metà strada un breve strappo in salita all’altezza del paese di S.Antonio Tortal mi fa soffrire un po’ soprattutto per il caldo, visto che ho indossato il giubbotto.

Arrivo quindi a Trichiana e mi immetto sulla trafficatissima strada che attraversato il ponte-diga sul Piave a Busche mi permetterà di arrivare a Feltre dove ho prenotato all’albergo Sagittario appena prima del paese.

Quando arrivo davanti all’albergo sono quasi le tre del pomeriggio: sono molto presto ed essendo chiuso il ristorante nell’albergo non c’è anima viva: provo a suonare il campanello ma non ottengo risposta. Decido così di riprendere la bici e dirigermi verso il centro di Feltre per vedere di trovare una soluzione alternativa che mi permetta anche di avere a disposizione un locale per la cena (cosa che non avrei avuto all’albergo ove avevo prenotato). La scelta si dimostra felice anche perché i tre km che devo fare per arrivare in centro sono piuttosto impegnativi ed in salita: appena passata la prima rotonda sulla provinciale del Monte Grappa vedo l’indicazione di un hotel e decido di verificare se hanno una stanza libera. Faccio un po’ fatica a trovarlo ma alla fine una signora molto gentile mi accoglie e mi mette a disposizione una stanza e mi da anche indicazioni su dove poter andare a mangiare per cena. Metto la bici in garage e salgo in camera per una doccia ristoratrice. Il contachilometri segna 116 km alla media di poco più di 17 km all’ora.

Dopo un riposino scendo in centro e faccio un giro della parte vecchia della città, per cena scelgo una pizza e un piatto di prosciutto e melone e torno in albergo per dormire: ho visto che la colazione è prevista per le sette e sono contento, potrò partire presto e prendere la seconda tappa con calma: i km previsti non sono molti ma c’è da scalare il passo Manghen, 24 km e 1600 m di dislivello.

 

SECONDA TAPPA

FELTRE-TESERO/STAVA   100 KM

 

Più o meno all’ora in cui sono partito da casa il giorno prima inizio la seconda tappa che mi porterà in Val di Fiemme, dove ritroverò i miei amici dell’Hotel Erica di Stava, Anna e Walter. A dire la verità avevo prenotato a Tesero all’albergo Al Cervo, da Lorenza, sorella di Anna, ma due giorni prima la stessa mi avvertiva che per mancanza di altre prenotazioni non avrebbe aperto e mi chiedeva la disponibilità a trasferirmi dalla sorella. L’unico problema era affrontare gli oltre 200 m di dislivello che in due km portano da tesero a stava, per il resto non c’erano problemi.

Come immaginavo, il primo problema da affrontare alla partenza è il traffico, intensissimo, che mi consiglia, dove possibile, di servirmi di una pista ciclabile a lato della strada principale.

Il tratto incasinato termina più o meno all’altezza del bivio per Arten-Fonzaso (strada che avevo percorso l’anno scorso): quest’anno proseguo diritto e al bivio successivo tiro dritto per arrivare ad Arsiè, dove abbandonerò la strada principale (la statale della Valsugana) per raggiungere i paesi ai piedi della salita principale della giornata, il Passo Manghen.

Quando arrivo in piazza ad Arsiè chiedo indicazioni per Primolano dove attraverso una strada chiamata “le scalette” arriverò fino in Valsugana. Prima di partire però mantengo fede ad un impegno e mi scatto una foto col telefonino e la mando ad un collega di lavoro la cui mamma è originaria proprio del paese in cui mi trovo.

La strada che mi conduce a Primolano è divertente e anche la discesa non è troppo impegnativa: riesco a dirigermi verso Borgo Valsugana costeggiando la statale e percorrendola solo per un breve tratto: seguendo la strada che avevo studiato sulla carta mi avvicino al paese da dove parte la salita ma una deviazione per lavori mi fa perdere tempo oltre che un po’ di quota: trovo  le prime indicazioni per il passo, e anche se la distanza segnalata alla fine non si dimostrerà troppo veritiera mi servirà per farmi un’idea di quanta strada dovrò percorrere per scollinare.

Arrivo comunque a Telve, paese dal quale parte la strada del passo e comincio le prime rampe della salita quando sono circa le undici. Primo obiettivo è raggiungere una fontana che mi ricordo sulla strada per fermarmi e mangiare qualcosa prima di affrontare la parte più dura della salita. La trovo puntualmente, mangio abbondantemente, mi riposo un attimo e riparto: la salita è abbastanza tranquilla fino circa  ai mille metri di altitudine raggiunti dopo metà percorso anche se devo decidermi ad affrontare la salita con un po’ più di grinta per non farmi sopraffare dalla stessa già ai primi km: dopo un ponte comincia un primo strappo duro con pendenze superiori al 10% che porta alla località di Calamento, dove si trovano le ultime abitazioni prima del passo e anche un ristorante nel quale però non mi fermo. Superata questa località mi prendo una pausa per scattare alcune foto e riprendo la strada che è ancora pedalabile abbastanza tranquillamente fino ad un ultimo ristorante situato a circa otto km dalla vetta, dove la strada si restringe e le pendenze cominciano inesorabilmente ad aumentare fino a toccare quasi costantemente il 10%. Il caldo comincia a farsi sentire e via via comincio ad esaurire le riserve di acqua: per terra trovo di tutto, segni del passaggio della recente Gran Fondo Campagnolo: buste di integratori, borracce, bottiglie d’acqua minerale. Una di queste è praticamente intatta e chiusa: ne approfitto e la svuoto di un fiato. La salita è dura, in lontananza si vedono gli ultimi tornanti e fanno un po’ impressione: continuo con la calma e a velocità quasi pedonali. Dovrei mangiare qualcosa, le barrette al sesamo però mi apiccicano la bocca e mi fanno sete e così passo agli integratori di carboidrati liquidi. L’effetto si fa sentire ma anche ormai i quasi 20 km di salita. Gli ultimi tornanti sono durissimi e ho la sensazione che non sarei riuscito ad affrontare altri 100 m di salita senza crollare. Con un ultimo sforzo riesco ad arrivare ai 2047 metri del passo dove riesco a scattare la foto di rito prima di scendere fino al rifugio sottostante dove mangio un panino e mi prendo un caffè per affrontare con più tranquillità la lunga discesa (16 km) che mi porterà in Val di Fiemme.

La prima parte è stretta e molto impegnativa e stanco della salita sto molto attento a non esagerare con la velocità: la parte non protetta dal bosco termina in prossimità di una malga con alcuni vertiginosi tornanti e le solite mucche al pascolo in mezzo alla strada. Entrato nel bosco i tornanti si fanno un po’ più stretti e impegnativi: la strada stretta termina a metà discesa, in corrispondenza di un ponte chiamato “delle Stue”. La strada si fa larga, ci sono lunghi rettilinei che invitano a prendere un po’ più di velocità ma non mi faccio prendere troppo la mano e arrivo alla fine della discesa dove trovo subito l’imbocco della pista ciclabile che mi porterà con un percorso ondulato fino a Lago di Tesero (località famosa per essere la sede delle piste che hanno ospitato due volte i campionati del mondo di sci di fondo). Passo davanti allo spiazzo dove una croce ricorda i morti per la tragedia del Cermis causata da un aereo americano e sotto il nuovo impianto di risalita, faccio rifornimento di acqua al centro sportivo di Masi di Cavalese e seguendo al contrario il percorso della marcialonga di sci di fondo arrivo allo stadio del fondo, da dove parte una impegnativa salita di poco meno di due km che mi porta nel centro dell’abitato di Tesero dove si trova l’Albergo al Cervo. Ho promesso alla titolare Lorenza di passare a salutarla e la trovo che sta uscendo (anche il bar è chiuso). Si offre di accompagnarmi in macchina fino a Stava o almeno di portarmi le borse ma rinuncio alla gentile offerta e preferisco fare l’ultimo sforzo, durissimo, per arrivare all’albergo. Conosco la strada per averla fatta mille volte per raggiungere le piste di fondo di Passo Lavazè ma la pendenza è dura e la stanchezza si fa sentire. Arrivo all’altezza dell’Hotel Erica allo stremo delle forze ma arrivo e posso appoggiare finalmente la bicicletta: lo strappo finale mi ha permesso di superare, seppur di poco, i cento km nella tappa. La media è bassissima, poco meno di 12 km all’ora, ma i 24 km del Manghen alla media di 6 km all’ora non potevano non influire sulla media complessiva.

Ad accogliermi c’è Walter, il cuoco dell’albergo contitolare con  la moglie Anna, che arriverà verso ora di cena con suo suocero Daniele, di solito impegnato al Cervo ma “precettato” dalla figlia per quel pomeriggio.

Salgo in stanza e non mi pare vero di poter riposare e fare la doccia. La prima metà del tour è fatta, sono molto soddisfatto, adesso ho due giorni per rilassarmi in vista del ritorno anche se poi non  mi riposerò molto.

 

TERZA TAPPA

TESERO-MISURINA 122 KM

 

Dopo due giorni di sosta a Tesero durante i quali invece di riposare occupo le giornate prima andando a fare un’escursione con l’amico Mario Trettel che mi porta a visitare le baite (baito, nel dialetto locale) sistemate sul gruppo del Latemar e che offrono riparo e conforto agli escursionisti e poi, il giorno dopo, con un giro ciclistico che pur prevedendo la salita a Passo Lavazè che presenta pendenze di tutto rispetto (dal 15 al 18%) affronto con la più assoluta calma con l’unico obiettivo di arrivare alla malga Grundin sopra passo Oclini per il pranzo, dopo la solita abbondante colazione, una breve attesa per regolare il conto  e un caloroso saluto da Anna e Walter Venerdì 22 giugno riparto per la terza tappa del mio giro che prevede la sosta intermedia a Misurina prima dell’ultima tappa col ritorno a casa.

Naturalmente (vedi ultimo tratto seconda tappa) il primo tratto di strada da Stava  è in ripida discesa e mi copro bene prima di arrivare in centro a Tesero  dove faccio il pieno d’acqua e mi dirigo verso la Val di Fassa che dovrò percorrere tutta per arrivare a Canazei dove affronterò il primo passo della tappa, il passo Pordoi che con i suoi 2239 metri risulterà il passo più alto toccato nel mio giro.

Dopo una prima breve sosta a Predazzo dove scatto una foto ai trampolini per il salto con gli sci e alla sede della Marcialonga, mi incammino verso Moena: il dislivello che dovrò affrontare nei circa 30 km che mi separano da canazei è di circa 400 m., ma la strada, anche se molto trafficata, presenta una serie di piacevoli saliscendi che mi permettono di raggiungere l’affollatissima località ai piedi del gruppo del Sella con una certa tranquillità e in accettabile tabella oraria. Dopo una sosta per rifocillarmi e fare il pieno di energia affronto i primi tornanti del passo: i primi sei km sono in comune con la strada che porta al passo Sella, la salita è molto regolare, faticosa ma non al livello del passo manghen. Superato il bivio affronto un tratto di strada che in questo senso in salita ho percorso solo un paio di  volte, ma ho comunque dei riferimenti sia visivi che nei cartelli che indicano altitudine, km al passo e numero dei tornanti. Nella prima occasione in cui avevo percorso questa strada mi ero fermato nei pressi di un punto panoramico dal quale si ha una splendida visione del Sassolungo e del passo Sella e anche questa volta mi fermo per scattare una foto. Ho avuto fino a quel momento un riferimento in un cicloamatore come me che in mountain bike sale con lo stesso mio ritmo e che approfitta della mia sosta per superarmi. Lo riaggancerò prima di arrivare agli ultimissimi tornanti dove sono accolto da un vento fortissimo e da una telefonata di mio fratello che si sincera che tutto stia andando per il meglio.

Dopo alcune difficoltà nello scattare la foto di rito, comincio la discesa affrontando il primo dei 33 tornanti che mi condurranno fino ad Arabba. Decido di provare a filmare la discesa accendendo la mini camera e fissandola alle borse posteriori in modo da riprendere quello che vedrebbe uno posizionato nel senso contrario alla mia direzione di marcia. La discesa è lunga ed impegnativa anche a causa del fortissimo vento che in alcuni tornanti mi sposta all’interno della strada (le borse fanno evidentemente un effetto vela). Sono moltissimi i ciclisti che affrontano la salita da questo versante (il più famoso) ma sono tante anche le auto e le moto che intasano quasi il traffico.

Arrivato ad Arabba proseguo senza fermarmi e proseguo anche in sfavore di vento per portarmi attraverso la vallata del Livinallongo fino ad incrociare la strada che arrivando da Caprile porta al passo Falzarego. A poche centinaia di metri dal bivio per Colle Santa Lucia mi fermo per il “pranzo”, consumando ancora quello che mi sono portato dietro e approfittando di una fontana.

Quando riparto il vento si è calmato, e comincio subito la salita che in dieci km mi porterà ai 2105 m del passo Falzarego. A parte qualche breve tratto la pendenza ricalca quella del passo Pordoi e la salita è quindi molto costante anche se, vista l’ora, il caldo comincia a farsi sentire. Riesco a rispondere ad una telefonata della responsabile della biblioteca di Spilimbergo che mi contatta per una manifestazione in programma a Gradisca di lì a un mese e mi avvicino ad un breve tratto in falsopiano davanti l’albergo “al sasso di stria” da dove si ha una bella, anche se inquietante, veduta degli ultimi tornanti del passo. Dopo alcuni brevi strappi e qualche tornante in galleria (dopo i quali mi fermo per una foto alla Marmolada) l’ultimo tratto agevole mi porta in cima al passo dove trovo parcheggiate decine e decine di moto e una certo affollamento.

Scatto subito una foto e affronto la discesa che mi porterà a Cortina: sono ancora incerto sul percorso da affrontare per arrivare a Misurina che è raggiungibile da due direzioni, una diretta attraverso il passo tre Croci o una un po’ più lunga attraverso il Passo Cima Banche e il Col Sant’Angelo dopo il bivio di Carbonin.

La discesa, molto più agevole di quella del Pordoi, mi porta consiglio e decido di seguire la strada più lunga. Negli ultimi tratti dopo Pocol, in comune con la salita al passo Giau, scorgo per la strada gli stessi ciclisti che il giorno prima, con grande fatica, ho visto affrontare le ben più dure rampe del passo lavazè. La loro organizzazione è il contrario assoluto della mia: io da solo, con bagaglio caricato sulla bici; loro in compagnia, con un furgone di appoggio per ogni evenienza.

Dopo una bella foto panoramica di Cortina entrato in paese quando sono le quattro del pomeriggio trovo subito la direzione per Dobbiaco e raggiungo la strada che ho percorso tante volte in auto per andare a sciare dopo una serie di impegnative rampe. La strada spiana un po’ e raggiungo tranquillamente la zona dello stadio del fondo di Cortina, dopo la quale comincia la parte più impegnativa della salita che si conclude dopo alcuni tornanti. Da lì in poi la strada cala notevolmente di pendenza ed in alcuni tratti è addirittura in discesa ed arrivo al passo di Cima Banche verso le 17.30.

Dopo qualche km in discesa arrivo al bivio di Carbonin dove affronto subito le prime rampe che in circa sette km mi porteranno alla località sul lago di Misurina dove farò tappa per la notte. Ho già percorso questa strada in occasione della mia scalata alle tre cime di lavaredo ma mi faccio sorprendere dalle pendenze che non ricordavo così accentuate (un tratto è segnalato al 12 %) e mi devo fermare per rifocillarmi un po’. Il tempo di sta annuvolando e comincia a fare un po’ fresco e sto rallentando la mia marcia, tanto che mi preoccupo di telefonare all’albergo per confermare il mio arrivo. Nei pressi delle piste di fondo di Misurina la strada spiana un po’ e devo fare l’ultimo sforzo per valicare il passo dal quale vedo finalmente il lago ma non purtroppo le tre cime di Lavaredo coperte dalle nuvole. Trovo subito l’albergo che è di recente ristrutturazione e dopo nove ore e un quarto di bici posso raggiungere finalmente la mia stanza prima che di lì a poco si scateni il temporale. Ma sono a tavola per la cena e non mi preoccupo più di tanto: se ci fosse stata una bella serata avrei potuto fare una passeggiata lungo il lago e scattare qualche foto ma non importa. Sono più preoccupato per il tempo per l’indomani mattina quando vado a dormire: riesco comunque a riposare bene e a prepararmi al ritorno a casa.

 

QUARTA TAPPA

MISURINA-GRADISCA 142 KM

 

Quasi a confermare le mie preoccupazione durante la notte si scatena il temporale e alle cinque e mezza i tuoni mi svegliano: rimango tranquillo e fiducioso, perché so che in montagna (sono a quota 1750 circa) il tempo cambia rapidamente. Infatti quando apro le finestre alle sette splende il sole, anche se la temperatura sembra essere piuttosto rigida.

Il tempo si mantiene prevalentemente sereno anche quando, dopo la colazione, mi preparo a partire.

Sono circa le otto e mezza quando, dopo avere scattato una foto al lago e alle tre cime, purtroppo ancora annuvolate, salgo sulla bici per iniziare la lunga discesa che mi porterà fino ad Auronzo. Mi vesto bene, perché fa piuttosto freddo, ma resisto all’idea di indossare un berretto leggero sotto il casco: mi auguro infatti che con il movimento e il calo progressivo dell’altitudine le temperature si mitighino un po’.

La strada è inevitabilmente molto bagnata e in discesa devo fare molta attenzione soprattutto nei tornanti, e dovendo moderare la velocità riesco a coprire la distanza verso Auronzo meno velocemente del previsto: la discesa è comunque molto lunga (praticamente 20 km) e sorrido al pensiero che nel corso della mia prima esperienza di questo genere di giri avessi pensato di raggiungere Cortina percorrendo in pratica la tappa che devo percorrere oggi in senso contrario: per fortuna quella volta cambiai idea perché non ce l’avrei mai fatta.

Attraversata Auronzo ed il suo lago, riconoscendo alcuni posti che avevo visitato nel corso di una serata con il coro, poco dopo l’incrocio con la strada che proviene da santo Stefano di Cadore inizio il breve tratto che mi divide dal bivio per Pelos e Lorenzago di Cadore, dove inizia praticamente la prima salita della giornata, il Passo della Mauria.

Il primo tratto è impegnativo e termina al centro di Pelos dove faccio rifornimento d’acqua: la strada spiana un po’ per poi risalire con decisione verso Lorenzago. La strada all’inizio del paese è piuttosto ripida e si cominciano a vedere i segni dei preparativi della prossima visita del Papa che trascorrerà proprio a Lorenzago le ferie estive.

Riconosco la strada che ho già percorso un paio di volte e esco dal paese dove comincia la salita vera e propria. Le pendenze non sono proibitive, ma mi faccio fregare dal fatto di non ricordare la distanza e dal fatto che molti tratti si assomigliano, così quando raggiungo un locale penso di essere quasi alla fine della mia fatica. Mancano invece oltre quattro km e la strada oltretutto aumenta di pendenza e sembra non finire mai.

Arrivo comunque al passo quando sono circa le undici e approfitto di un bar aperto per mangiare un panino.

Nel frattempo il tempo si è fatto molto nuvoloso e ventoso (in alcuni tratti della salita ho preso quattro gocce di pioggia) e quando inizio la discesa verso Forni di Sopra vedo che in alcuni tratti la strada è bagnata. Sto rincorrendo la pioggia ma per fortuna ancora non riesco a raggiungerla.

La discesa è tranquilla e attraverso Forni di Sopra con tranquillità e affronto il saliscendi che mi porterà a Forni di Sotto pensando al fatto che avvicinandosi mezzogiorno devo trovare il modo di mangiare qualcosa. Risolvo il problema facendo la spesa in un piccolo negozio di Forni di Sotto: con un panino al prosciutto, una bibita e un paio di peschenoci mi preparo a proseguire, con il tempo che minaccia ancora.

So che prima di arrivare ad Ampezzo e Socchieve c’è una piccola salita e, prima ancora una galleria chiamata sinistramente “Passo della Morte”. I lavori alla nuova galleria che la dovrebbe evitare non sono terminati e quindi devo seguire la strada vecchia. Essendo preparato “psicologicamente” alla salita che mi porterà alla sella di Cima Corso non faccio tanta fatica a risalire ai circa 900 m. del passo che raggiungo circa all’una.

Quando comincio la discesa comincio a pensare alla strada che dovrò fare per tornare in pianura e quindi a casa. Ho infatti quattro possibilita: Il Passo Rest da Ampezzo, la Valle di Preone da Socchieve, la Sella Chianzutan da Villa Santina o la strada, più lunga ma senza salite di rilievo, che da Tolmezzo mi porterebbe verso Pinzano attraverso Gavazzo Carnico.

Non me la sento di affrontare i dodici km di salita, a tratti anche piuttosto dura, che mi porterebbero al passo Rest e decido di affrontare la strada che attraverso la appartata vallata di Preone mi porterebbe a metà discesa dalla Sella Chianzutan e attraverso la Val d’Arzino verso casa.

L’unica difficoltà è rappresentata da una rampa di circa un km e mezzo con pendenze ripidissime e preannunciata da un cartello che indica il 20%.

L’attraversamento del paese non rappresenta un problema a parte una rampa proprio in uscita che mi prepara alla temuta rampa intermedia che mi preparo già eventualmente a percorrere a piedi.

Proprio quando mi sto avvicinando al tratto più difficile (che si percorre in leggera discesa) comincia a piovere sempre più decisamente e sono costretto ad indossare il giubbotto impermeabile per non patire poi troppo nella lunga discesa verso casa.

Dopo il citato cartello con l’indicazione del 20% la strada si impenna subito ma riesco a pedalare piuttosto tranquillamente. Smette quasi subito di piovere ma la pendenza e la strada bagnata che renderebbero difficoltosa la ripartenza mi sconsigliano di fermarmi a togliere il giubbotto. Dopo un tratto relativamente più facile cominciano gli ultimi 900 m con vertiginosi tornanti portano praticamente alla quota più alta della salita: riesco a pedalare con relativa facilità e raggiungo finalmente un tratto in falsopiano con molta soddisfazione: nel corso della mia “carriera” di ciclista non ero mai riuscito a percorrere questo tratto di salita senza mettere giù il piede per terra. Il restante km e mezzo che mi separa dalla sella Chiampon (culmine della salita) sono un facile trasferimento che mi consente di ammirare le bellezze di questa vallata quasi sconosciuta ed appartata.

Il tratto che mi porterà ad incrociare la strada che scende dalla Sella Chianzutan si rivela essere un po’ più lungo del previsto e quando sto per arrivare al bivio mi accorgo che una macchina mi sta sbarrando la strada, ferma con le portiere aperte. Imprecando un po’ riesco a passare e comincio la discesa che in breve mi porterà a San Francesco quando mancano pochi minuti alle tre del pomeriggio.

Conosco molto bene la strada che devo percorrere ma solo all’ultimo momento mi ricordo che tra Pielungo e le gallerie che portano ad Anduins la strada è interrotta da una frana e che sarò costretto a percorrere il by-pass che è stato ricavato per superare la frana e che presenta, nel mio senso di marcia, un tratto di circa 5oo m. al dieci per cento.

Supero anche questa difficoltà e mi avvio verso casa: superate Casiacco e Flagogna poco prima di Pinzano mi fermo per l’ultimo rifornimento di energia che mi consente di arrivare a casa attraverso strade conosciutissime quando sono da poco passate le quattro dopo avere percorso 142 km alla media di poco superiore ai 17 km all’ora.

Quando raggiungo casa il contachilometri totale segna esattamente 500 km in più di quanto segnava al momento della partenza lunedì scorso. Il traguardo è raggiunto, sono molto soddisfatto.

 

APPENDICE – SALITA AL MONTE ZONCOLAN

 

Negli ultimi mesi, complice il fatto che era stata inserita nell’ultimo Giro d’Italia, la salita al Monte Zoncolan nel versante da Ovaro è stata la salita più chiacchierata, più discussa e unanimemente considerata la più dura d’Europa.

Tenuto conto dell’allenamento che avevo fatto percorrendo 500 km in una settimana percorrendo numerosi passi dolomitici, avevo pensato che non ci fosse momento migliore per tentare la scalata al “mostro”.

Così venerdì 29 giugno ho caricato la bici in macchina e dopo avere parcheggiato a Villa Santina, ho iniziato il percorso che dopo circa 12 km mi avrebbe portato ad Ovaro da dove comincia la temutissima salita, che presenta un tratto intermedio di sei km che hanno una pendenza media del 15% con punte del 22%.

Il primo tratto di salita porta alla frazione di Liariis ed è già impegnativo, presentando un tratto che è solo all’ 11%…

A Liariis comincia un tratto in falsopiano di circa 500 km alla fine del quale comincia ufficialmente la salita, e si vedono già le tracce del recente passaggio del giro d’Italia.

Subito le pendenze presentano il conto: il primo tratto è subito superiore al 15 % e la pendenza non accenna a diminuire: ad un certo punto le ruota davanti comincia ad alzarsi un po’ e capisco subito perché: un tifoso piuttosto zelante (e crudele) ha scritto sull’asfalto la pendenza di quel tratto: 22%!!

Ho percorso solo due km della salita, me ne restano almeno quattro altrettanto duri.

I cartelli che indicano la distanza percorsa sono caratterizzati da gigantografie di campioni del ciclismo degli anni passati, ma anche se la velocità a tratti non supera i 4 km all’ora, non ho il tempo di riuscire a leggere la storia dei campioni raffigurati.

Un piccolo momento di soddisfazione mi è dato dall’accoglienza di un gruppo di ragazzi che stanno salendo a piedi e che mi incitano con un caloroso applauso.

Non riesco a trovare altri punti di riferimento oltre ai cartelli indicatori della distanza e l’impegno costante e durissimo è reso sopportabile solo dal fatto che riesco a salire senza fare eccessiva fatica, riuscendo a dosare lo sforzo e a non farmi prendere dallo scoramento per la fatica che sembra interminabile. Riesco a distrarmi un po’ anche leggendo le scritte che i tifosi hanno fatto per terra e noto che man mano che ci si avvicina alla vetta anche le scritte diradano.

La cosa che mi sorprende è che fino a quel momento non ho trovato altri “temerari” che abbiano sfidato la salita: mi sembra quasi impossibile ed infatti quando mancano circa due km alla fine del tratto più duro e le pendenza si riavvicinano in alcuni tratti al 20% vedo in lontananza un ciclista che sembra stia facendo una fatica immane, molta più di quella che sto facendo io. Io sto usando una bici stradale  con rapporti da mountain bike mentre lui sta salendo con una bici da corsa e probabilmente senza i rapporti adeguati alla pendenza e alla lunghezza della salita.

“Gasato” dal fatto che mi sto avvicinando al mio “collega”, supero la parte più difficile della salita che si ammorbidisce un po’ fino ad arrivare alla prima delle tre strette gallerie che la  caratterizzano  dove riesco ad estrarre la macchina fotografica e a scattare un paio di foto. Trovo il ciclista che stavo inseguendo che ha raggiunto un suo amico che ha percorso gli ultimi metri scendendo dalla bici: si fermano ad ammirare il panorama.

Io proseguo e scatto una foto anche dentro la galleria, dove vengo superato da uno dei due che scoprirò in seguito essere tedeschi: lo ritroverò a spingere la sua bici a piedi negli ultimi tornanti.

Il tratto tra le tre gallerie è facile, in alcuni punti addirittura un po’ in discesa e precede gli ultimi, vertiginosi tornanti dove si erano appostati i tifosi durante la tappa del Giro trasformando le rive in uno stadio. L’ultimo tornante è a 50 m dallo scollinamento: supero il ciclista appiedato e arrivo in vetta con immensa soddisfazione e parcheggio la bici davanti al monumento al ciclista e al cartello che indica la agognata meta: Sella del Monte Zoncolan, 1750 m, 1225 m di dislivello da Ovaro in 10 km.

Ho percorso l’intera salita in un’ora e 55 minuti, il tratto più duro in un’ora e 38 minuti. Ho fatto meglio di Malesani, allenatore dell’Udinese, ma non so che bici abbia usato…

In cima fa freddo, tira vento e sono sudatissimo, non me ne ero nemmeno accorto: mi scatto una foto con l’autoscatto (non si vede la bici- l’ho usata come cavalletto), ne scatto una ai due tedeschi insieme e affronto la discesa verso Sutrio, il versante che è stato percorso per la prima volta dal Giro nel 2003. I primi 3 km della discesa (gli ultimi della salita) paiono di una pendenza spaventosa, ma poi superata la zona degli impianti di risalita, la discesa si fa meno impegnativa. Quando arrivo a Sutrio la parte più impegnativa del giro odierno è finita ed il trasferimento a Villa Santina via Tolmezzo è solo una formalità.

Dopo la salita al monte Crostis del 2005 un’altra medaglia da appuntare al petto. Sono proprio contento, ho finito le ferie nel migliore dei modi.

 

 

 

 

 

 

 

ciclotour 2007ultima modifica: 2012-04-08T10:49:47+02:00da maxpres8
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