ciclotour 2005

CICLOTOUR 2005

 

Prima tappa – 20 giugno 2005

GRADISCA – SELVA DI CADORE

117 KM

 

Da quando ho cominciato i miei giri in bici con destinazione Val di Fiemme, nel 2001, avevo sempre accuratamente evitato di salire per la Val Cellina, visto che avrei dovuto affrontare la lunga galleria (3950 m.) che da Montereale porta ad Andreis: anche questa volta avevo pensato ad un itinerario alternativo per evitarla, cioè avrei dovuto raggiungere Andreis attraverso la Pala barzana, aggiungendo così una salita in più al mio itinerario. Durante un giro in bici di preparazione però avevo incontrato Massimo del Ristorante alla Torre di Spilimbergo, anche lui appassionato di bici, che mi aveva rassicurato sul fatto che la galleria non avrebbe rappresentato un problema.

Al momento di partire quindi, alle sette di mattina del 20 giugno, il problema era rappresentato dal modo di raggiungere Montereale, cioè se arrivarci da Vivaro via Dandolo oppure dalla strada ordinaria dal centro di Maniago: scelgo quest’ultima opzione anche se mi costringe ad affrontare il lungo rettilineo dello “stradone di Sequals”, che sembra non finire mai ed in leggera, costante salita. Un problema è rappresentato dal traffico, visto che molti operai stanno raggiungendo le fabbriche della Z.I. di Spilimbergo e di Sequals. Infatti mi sorpassa anche Elvio Rossi, un amico di Gradisca, che con la sua moto sta andando alla Breda di Sequals, dove vedo entrare tanti altri suoi colleghi tutti rigorosamente vestiti di verde.

Avvicinandomi a Maniago mi ricordo che è lunedì e quindi ci potrebbe essere qualche problema di traffico visto che c’è mercato e che ho scelto di non passare per la circonvallazione e di prendere la strada vecchia: invece il traffico è piuttosto tranquillo e posso avviarmi verso Montereale con tutta tranquillità. La leggera salita che porta dal ponte sul Cellina all’abitato mi crea meno problemi del previsto e così posso affrontare l’altra breve rampa che porta alla prima galleria che mi farà entrare in Valcellina proprio sopra il bacino di Ravedis. Un kilometro

in leggera discesa ed è subito ora di prepararsi ad affrontare la famigerata galleria: indosso il casco, le bretelle rifrangenti, accendo le luci e parto. Subito sono confortato dalla velocità, che nonostante la salita si mantiene più alta del previsto, anche se a darmi più fastidio è il rumore delle ventole che servono a tenere pulita l’aria all’interno che rimarrà costante fino all’uscita, che avviene dopo poco più di un quarto d’ora: non tolgo niente di quello che ho addosso perché c’è un’altra galleria più corta (1 km) da affrontare prima di uscire in vista del lago di Barcis.

Confortato dall’avere superato la prima difficoltà del viaggio, noto con piacere che i grandi lavori per facilitare l’accesso a Barcis sono ripresi e che la strada è ora bella larga e, anche se in salita, per niente faticosa. Supero Barcis e mi avvio verso Claut attraverso una strada che alterna brevi salite a riposanti discese, mi fermo poco prima di Claut per un rifornimento d’acqua e scatto le prime foto del viaggio. Dopo il bivio per Claut inizia il tratto che porta a Cimolais, una lunga costante salita in rettilineo dalle pendenze che si fanno sentire: riattraverso il Cellina per entrare in Cimolais attraverso la deviazione approntata per consentire i lavori di costruzione del nuovo ponte e subito inizio la salita che mi porterà agli 827 metri del Passo di Sant’Osvaldo che raggiungo quando mancano dieci minuti alle undici.

Una foto veloce in “vetta” e parto subito per raggiungere Erto e la diga del Vajont, e la strada non è sempre in discesa, che comincia veramente solo in prossimità della diga, alla quale scatto una foto da uno spiazzo che mi permette di evitare l’affollamento dei turisti che solitamente si fermano nei pressi della chiesetta e parto subito per Longarone, che raggiungo dopo sei km di discesa. Attraverso il Piave e mi dirigo immediatamente verso la val Zoldana, nella quale entro dopo un’altra galleria immancabilmente in salita. E’ quasi ora di pranzo e mi ricordo che non molto lontano ci dovrebbe essere una Trattoria, che trovo a Mezzavalle. Mi fermo dopo 85 km percorsi in circa cinque ore e nel legare il casco al manubrio azzero il contachilometri. Ordino un primo che dovrebbe essere un “pasticcio” con il solo sugo di pomodoro: mi ritrovo con un piatto nel quale la pasta latita un po’ e c’è invece molta besciamella e molto formaggio (mozzarella?) fuso. Non è proprio il massimo ma se non altro riempio lo stomaco, anche se un normale piatto di pasta sarebbe stato meglio.

Riparto alle 13.15, c’è molto caldo ed un vento fastidioso che gira continuamente di direzione. La strada è costantemente in salita e mi porta a passare Forno di Zoldo (base di partenza per molti giri negli anni passati) dopo avere attraversato la galleria sul lago di Pontesel, tristemente legato alla vicenda del Vajont per un incidente analogo che comportò la morte di un guardiano pochi mesi prima della tragedia del ’63.

Ormai mi sto avvicinando a Dont dove comincia “ufficialmente” la salita per il passo Staulanza con un tratto di circa un km con una pendenza media superiore al 10%. L’asfalto sembra nuovo e penso sia dovuto al recente passaggio del Giro d’Italia ma mi devo ricredere subito: stanno asfaltando la strada proprio in quel momento ed in certi tratti le ruote affondano nell’asfalto fresco: il calore mi prende da tutte le parti, dall’alto il sole picchia, da sotto l’asfalto rimanda caldo e odore e la situazione si fa sempre più critica. Quando riesco a superare le macchine che stanno lavorando, lo devo fare scendendo dalla bici e passando sullo sterrato: così facendo le ruote già sporche di catrame si riempiono di sassolini e ci vorranno molti km perché si puliscano del tutto. Nei pressi della località di Mareson approfitto di una fontana per un breve riposo ed il rifornimento d’acqua ma proprio mentre sto riposando vedo arrivare nuovamente i  camion con il catrame e la macchina che posa l’asfalto: riparto velocemente ma la pendenza non mi consente una velocità che mi permetta di superare i mezzi, che per fortuna si fermano poco prima di Pecol, dove inizia la serie di tornanti che portano alla stazione sciistica di Palafavera sotto il Monte Civetta.

La strada è coperta di scritte pubblicitarie e di incitamenti per i corridori del Giro fino allo spiazzo dove è anche ricavato anche un campeggio; siamo ad un’altitudine di 1514m. Un ulteriore rifornimento d’acqua ed inizio gli ultimi quattro km di salita che mi porteranno ai 1773 m. del Passo Staulanza che raggiungo circa alle 16.50. La foto è d’obbligo anche con lo sfondo del Monte Pelmo che mi ha accompagnato per tutta la strada anche se purtroppo non sempre sgombro di nuvole.

Ormai per raggiungere la conclusione della prima tappa mancano una dozzina di km tutti in discesa. Raggiungo la località di Santa Fosca dopo 117 km percorsi in otto ore e mezza circa e trovo l’albergo che mi ospiterà per la notte, il “garni alla Stua” dove scopro che non servono la cena. Un riposo di due ore e poi raggiungo la vicina località di Pescul dove trovo un albergo ristorante albergo dove ceno in una sala piena di turisti giapponesi.

La cena è decente, faccio due passi per digerire e per fare un prelievo al bancomat e poi rientro nella mia stanza: non ho voglia di guardare la tv e mi addormento presto: un buon viatico per la seconda tappa, domani mattina.

 

SECONDA TAPPA

SELVA DI CADORE – TESERO

110 KILOMETRI

21 GIUGNO 2005

 

Una notte passata benissimo dormendo di gusto mi prepara alla seconda tappa, sulla carta la più impegnativa con quattro passi, tre dei quali sopra i duemila metri.

Dopo una buona colazione verso le otto e mezza parto da Santa Fosca in direzione di Selva di Cadore e Colle Santa Lucia, percorrendo la strada che mi consentirà di prendere la salita per il Passo Falzarego ad un altitudine di circa 1300 metri rispetto ai mille metri dai quali sarei partito se mi fossi diretto verso Caprile.

La partenza è in leggera discesa e mi consente di scaldarmi in vista del tratto che in salita mi consentirà di superare Colle Santa Lucia: dopo poche centinaia di metri di salita dopo avere lasciato sulla destra il bivio per il passo Giau trovo subito una interruzione per lavori con un camion-gru  che occupa l’intera sede stradale. Devo prendere la bici in spalla e passare sul prato ma mi va bene, la strada sarebbe stata bloccata fino alle undici. Il termine della salita è posto un paio di kilometri dopo l’abitato di Colle Santa Lucia nei pressi di un punto panoramico che mi permette di vedere sotto di me, nonostante la foschia, il lago di Alleghe sotto il Civetta e soprattutto Caprile, molto in basso. Contento di avere fatto la scelta giusta, raggiungo il bivio per Caprile e mi dirigo verso il Passo Falzarego per una salita non durissima dalla quale dopo un po’ comincio a vedere la strada che arriva da Arabba sulla quale mi immetto quando al passo mancano dieci km.

Salgo con molta regolarità, la pendenza non supera quasi mai il 7%  e calcolo che arriverò in vetta circa alle undici e un quarto. L’obbiettivo è arrivare a Corvara in tempo per il pranzo e rispetto la tabella di marcia. Arrivato sul Passo falzarego a  2117 metri mi faccio scattare un foto da un turista tedesco e mi avvio subito a percorrere i circa due kilometri che mi separano dal Passo Valparola a 2192 metri che raggiungo

in un quarto d’ora. Dopo una foto con l’autoscatto ed una ad una splendida vista della Marmolada mi avvio verso la discesa che mi porterà in Val Badia attraverso San Cassiano. La discesa è abbastanza agevole, anche se c’è un forte vento contrario che ogni tanto mi da fastidio. Raggiungo la statale che da Corvara porta a Brunico con un ultima leggera salita e giro a sinistra dove dopo dei km raggiungo proprio Corvara. Ricevo la telefonata del maestro del mio coro che mi chiede ragguagli sull’organizzazione di una serata in luglio e raggiungo la mia meta “intermedia” e il ristorante che ormai conosco dove ordino un buon piatto di pasta e un po’ di formaggio, riserva di energia in vista delle prossime due salite, il passo Campolongo e, soprattutto, il Passo Pordoi.

Ho già percorso due anni fa proprio questo itinerario finale di tappa e faccio dei calcoli sull’ora in cui dovrei arrivare a Tesero, fissandolo circa per le 18.

Il Passo Campolongo non è una salita durissima, sono circa 350 metri di dislivello in circa sei km, dei quali i più impegnativi sono i primi, una lunga serie di tornanti che terminano in prossimità di un campo di golf. Sono circa le 14 e 10 quando transito per il passo a 1875 m. e mi fermo pochissimo giusto il tempo per scattare una foto, cercando di non replicare quella di due anni fa.

Comincio così la discesa verso Arabba e quando arrivo in prossimità del paese una interruzione per lavori (un vera maledizione) mi fa perdere almeno dieci minuti a causa anche di un autista di corriera svizzero che non si fida a passare su un mucchietto di terra e fa intervenire la ruspa costringendo tutta la colonna a fare retromarcia.

Dopo una sosta in centro ad Arabba per un rifornimento d’acqua, parto per raggiungere il Passo Pordoi, “cima Coppi” del mio tour di quest’anno a 2239 metri, partendo dai 1600 metri di Arabba. Poco dopo la partenza incontro il cippo che segnala il primo tornante: alla fine saranno trentatre, un buon riferimento per capire a che punto si è della salita, che d’altra parte da un certo punto in poi si vede tutta fino in vetta.

Ad aggiungere difficoltà alla salita è il caldo, anche se per fortuna ad un certo punto il cielo si annuvola e gli ultimi km non sono poi così terribili, almeno dal punto di vista delle temperature. La salita è molto costante e facendo le proporzioni con il falzarego calcolo che dovrei arrivare in cima verso le sedici. Faccio una sola sosta poco dopo metà salita per il cambio della borraccia e riparto subito, mantenendo la media che mi ero prefissato e arrivo al cartello del Passo quando sono da poco passate le quattro. Nel frattempo ho ricevuto una telefonata di Gigi Marchesin, un collega che mi fa sorridere facendomi ripensare alla prima telefonata in assoluto ricevuta sul mio telefonino proprio in quel tratto di strada, nel 1998, in occasione della mia prima scalata al Passo Pordoi.

Dopo la rituale foto, mi vesto per affrontare la discesa verso Canazei, che ormai conosco benissimo, anche se ci metto sempre molta attenzione, visto anche che il peso delle borse dietro tende a sbilanciare un po’ la bici.

Senza particolari problemi supero prima il bivio per il passo Sella ed arrivo a Canazei dove imbocco un senso vietato, penso solo alle macchine, e sempre in discesa mi dirigo verso Campitello, dove l’ennesimo cantiere mi fa perdere altri minuti. La strada è prevalentemente in discesa e quindi piuttosto veloce, ma un’altra interruzione stradale  a Mazzin mi fa temere di non potere rispettare la tabella di marcia.

L’unico tratto di salita è quello che precede l’abitato di Moena e resto sorpreso di vedere quanta poca acqua ci sia in un piccolo laghetto che precede l’ingresso i paese. Per fortuna a tanta salita fa seguito una bella discesa che mi fa passare veloce il paese e la sua zona industriale dove è situata la partenza della marcialonga.

Mi dirigo così verso Predazzo e proprio all’altezza dei trampolini scattano i cento kilometri percorsi: mancano ormai dieci km alla fine e in buona velocità passo Predazzo e Ziano ed arrivo a Panchià dove cominciano gli ultimi quattro km in leggera salita che mi porteranno a Tesero e all’Albergo al cervo, mia tappa fissa di questi giro giunto alla sua quinta edizione.

Arrivo proprio sulla porta dell’albergo e trovo sia Anna, una delle proprietarie, e Walter, il marito cuoco e istruttore di Mountain bike che mi accolgono con calore e mi offrono da bere. Il bar dell’albergo è chiuso per turno di riposo e così possono dedicarmi molto tempo, visto che l’albergo non è proprio affollato.

Ho sforato di dieci minuti l’ora prevista per l’arrivo, ma ho la giustificazione di tante interruzioni per i cantieri aperti sulle strade.

Prima di cena riesco a lavare maglietta e pantaloncini che ho usato in questi due giorni e mi appresto  a fare una doccia, accorgendomi di avere lasciato il flacone del bagno schiuma nell’albergo a Selva di Cadore. Poco male, uso quello dell’albergo e ho giusto il tempo di riposare un po’ prima dell’ora di cena. Arrivo nella sala da pranzo e posso rendermi conto dei grandi lavori che sono stati fatti dopo la chiusura pasquale. Una nuova zona buffet e nuovi servizi fanno sembrare la stanza ancora più grande: faccio i complimenti ad Anna quando viene a servirmi la cena.

Scendo per fare quattro passi in paese ed invece  all’entrata trovo di nuovo Walter che mi offre una birra e con il quale mi metto a parlare del più e del meno e quando abbiamo finito sono quasi le undici: è anche per questi momenti che mi piace tanto venire qui e quando vado a dormire sono proprio contento. Tra l’altro Walter è impegnato nei prossimi due giorni e quindi sfuma l’eventuale possibilità di fare almeno un giro in mountain bike, al quale mi ero preparato, almeno psicologicamente. Troverò qualche altra soluzione per passare i prossimi due giorni, teoricamente di riposo, anche perché tutti i locali in paese dove potrei pranzare sono chiusi e quindi dovrò per forza muovermi.

 

PRIMO GIORNO DI RIPOSO

MERCOLEDì 22 GIUGNO

 

Nonostante le offerte di Anna dell’Albergo di prestarmi uno scooter, preferisco lasciare in garage ogni tipo di due ruote e raggiungere la malga     che ho scelto per il pranzo, la malga Salanzada, sopra Masi di Cavalese, nella quale ero già stato in compagnia di Walter nel settembre 2003.

Scelgo di andare a piedi e scendo da Tesero attraverso la stradina sterrata che porta alla rotonda che segna l’ingresso a Masi: qui arrivato ignoro la prima segnalazione per la malga e mi incammino attraverso la pista ciclabile fino alla cascata che da il nome alla salita finale della marcialonga, formata dalle acque del torrente Moena poco prima di gettarsi nelle acque del fiume Avisio, che attraversa tutta la Val di Fiemme dopo avere attraversato la Valle di Fassa, segnando così l’intero percorso della Marcialonga.

Dalla cascata parte una strada sterrata che mi dovrebbe portare alla malga passando per il posto dove sorge l’abete più vecchio, grosso e alto della valle, il “Pezo del Gasolin”, 30 metri di altezza e 450 cm di circonferenza, vecchio di duecento anni. Poco prima dell’albero ho un leggero dubbio causato da una sbarra che chiude la strada e prendo un sentiero che mi accorgo essere quello che mi aveva consigliato Walter e che parte direttamente dalla cascata. Ritorno sui miei passi e arrivo all’albero e dopo avere scattato una foto proseguo per un bellissimo sentiero che poco dopo di divide: prende per errore la strada che scende e mi ritrovo “fuori pista” e sono costretto ad una faticosa risalita tra i rovi per ritrovare la strada che mi riporterà in vista della malga, che raggiungo dopo circa tre ore di cammino verso mezzogiorno meno un quarto. Ordino subito una birra in attesa del pranzo (späztle e salsiccia alla griglia con polenta). Dopo avere pagato il conto (piuttosto salato – per una malga) mi rincammino verso Tesero per la strada diretta, scendendo poi verso la stazione di partenza della funivia del Cermis attraverso un comodo sentiero. Fa caldo e mi scotto un po’ le spalle, arrivo in albergo verso le tre e mezzo e dopo una bella doccia vado a riposare in attesa della cena.

 

SECONDO GIORNO DI RIPOSO

Giovedì 23 giugno 2005

 

Restando chiusi i locali in paese a Tesero, per risolvere i problemi del pranzo scelgo la via più difficile: salire in bici al Passo Lavazè e poi al Passo Occhini, dove proseguirò per la malga Grundin.

Ciò vuol dire fare circa 1000 metri di dislivello in circa quattordici kilometri: decido di affrontare la salita da Cavalese invece che da Stava, in modo da potermi riscaldare adeguatamente. Quando però arrivo nei pressi della zona artigianale di Tesero mi ricordo che con Walter eravamo scesi in bici da Varena (località per la quale devo passare) attraverso una bella e solitaria stradina che tagliava in diagonale le alture sopra Tesero e Cavalese. La stradina si prende proprio all’altezza di un supermercato e si dirige verso la località “Spianez”. La prima parte è piuttosto dura ma su fondo asfaltato: quando spiana un po’ la strada diventa sterrata ma comunque percorribile tranquillamente.L’asfalto riprende nei pressi di un bivio all’altezza del quale chiedo indicazioni per Varena: avuta la conferma di quello che pensavo proseguo fino ad arrivare fino ad impianto sportivo che comprende campi di bocce e un minigolf e decido di proseguire in salita. Purtroppo la strada non prosegue e devo tornare indietro fino al centro di Varena dove giro a destra per una strada in pendenza notevole che mi porterà prima al bivio per Stava e poi al Passo Lavazè.

La strada spiana un po’ solo dopo circa due kilometri e poi prosegue con una salita abbordabile fino al Bivio per Stava che lascio sulla destra. Subito cominciano i quattro durissimi chilometri che mi porteranno al passo, luogo dove sorgono le più belle piste da sci di fondo che conosca.

La fatica è aumentata dal caldo, che potrebbe essere mitigato dall’ombra degli abeti, se 50.000 di loro non fossero stati abbattuti da una tromba d’aria nel 2000. Il primo tratto è quindi allo scoperto e la fatica aumenta ed il fastidio provocato da decine di mosche che decidono di approfittare di me per farsi un giretto senza faticare non fa che aumentare il nervosismo. Quando mancano circa tre kilometri appare un cartello con l’indicazione della pendenza: 18% ! è un tratto breve, ma non è che poi diminuisca di tanto…fino alle ultime curve dalle quali si cominciano  ad intravedere le rocce dell’ultima curva la salita non molla, ed è veramente dura arrivare sotto il cartello del Passo. Qui scatto una foto che non viene granchè, mi rifaccio poco più in la’ con una foto davanti al laghetto che d’inverno – ghiacciato – fa da base per la partenza e l’arrivo per le piste di sci.

Mi avvio allora per Passo Oclini e la strada non è così dura quanto avrei immaginato ed arrivo al Passo, poco sotto i duemila metri, senza un grande sforzo dopo circa tre kilometri. Mi faccio scattare una foto da un motociclista tedesco al quale spiego quanto sia bello il posto soprattutto d’inverno e poi risalgo in bici, oltrepasso la sbarra che impedisce l’accesso alle auto e mi avvio verso la malga Grundin attraverso una strada sterrata ma comunque ben battuta e praticabile.

Ho già assaggiato gli “strauben” (dolce tipico della zona) della Malga l’anno scorso, ma erano stati poco più di un assaggio. Prendo una porzione intera accompagnata da un “radler”, la bevanda del ciclista, cioè birra tagliata con la limonata, molto dissetante: questo sarà il mio pranzo di oggi.

Walter all’albergo mi ha assicurato che la discesa verso Redagno, seppure in sterrata, non è male e la posso fare sicuramente con la mia bici.

Finito di mangiare mi avvio e con molta attenzione a non prendere velocità raggiungo dopo circa sei kilometri la strada asfaltata che attraverso Redagno e Fontanefredde mi porterà sulla statale che da Ora porta a Cavalese attraverso una discesa molto larga e veloce che termina  a circa due km dal Passo San Lugano, ultima “asperità” della giornata. La salita è pedalabile e anche se fa molto caldo (è circa l’una) non faccio tanti sforzi per superare il valico e cominciare la strada che attraverso Cavalese mi riporterà a Tesero e all’albergo in circa dieci km.

Ora posso riposare e scendo in paese solo per fare un po’ di spesa, dolci per il viaggio e un po’ di frutta, cliliegie soprattutto, che mi fermo a mangiare nell’area di sosta poco prima di Tesero.

Trovo per terra altri ……… di ciliegia, ma mi pare strano possano essere gli stessi che ho lasciato lo scorso anno.

Rientro in albergo e comincio a sistemare la bici: domani comincia il viaggio di ritorno.

La sera è l’occasione per un ultima chiacchierata con Anna e Walter e poco dopo le 22.30 vado a letto. So che non dormirò molto, se non altro riposerò.

 

 

Terza tappa

TESERO PONTE NELLE ALPI 117 KM

VENERDì  24 GIUGNO 2005

 

Dopo la solita abbondante colazione e dopo avere fatto fare una levataccia ad Anna per trovarla pronta alle 7.30, risalgo in bici per iniziare il viaggio di ritorno verso casa: devo raggiungere per prima Predazzo e fedele all’abitudine di evitare, se possibile, di ripercorrere la stessa strada nello stesso giro, decido di scendere fino a Lago di Tesero per proseguire per Predazzo attraverso  la pista ciclabile della Val di Fiemme. In questo senso la strada è un po’ in salita ma riesco ad evitare il grande traffico della statale e soprattutto posso, dopo una deviazione presso la località di Roda, immettermi in una delle bellissime stradine che attraversano la piana di Ziano di Fiemme, in mezzo ai prati, in un percorso che a tratti ricalca quello della Marcialonga.

La temperatura è ideale, fresca ma non troppo, il tempo è un po’ nuvoloso, così che quando imbocco la statale che mi porterà al Passo Rolle la fatica è un po’ mitigata.

Da Predazzo al Passo Rolle ci sono circa 20 km e un dislivello di poco meno di mille metri e la prima difficoltà consta nel raggiungere Bellamonte, attraverso una strada che conosco benissimo ma che sale già con discreta pendenza: perché la strada spiani un po’ devo attraversare tutto i paese e arrivare all’altezza del Lago artificiale di Forte Buso, dove la strada corre praticamente in piano fino a raggiungere la località di Paneveggio, dove sorge un centro visitatori nell’omonimo parco e un cartello segna la quota di 1384 m.. Subito dopo una breve salita, trovo il bivio per il Passo Valles: io devo proseguire diritto ed al Passo Rolle a 1984 m.  mancano circa 7,5 km. La salita non è mai durissima, almeno così mi pare, e con regolarità e con una velocità lievemente superiore a quella con la quale avevo affrontato il Falzarego ed il Pordoi mi avvicino alla prima meta della giornata. Ho un piccolo problema al “soprassella”, un foruncolo che mi da un po’ fastidio: decido di fermarmi per vedere se con un  cerotto antivesciche che mi ricordo di avere nella borsa riesco a risolvere almeno provvisoriamente il problema. L’operazione ha successo e dopo avere mangiato qualcosa riparto alla volta della cima, che sembra raggiunta quando si esce dal bosco e si apre la vista del comprensorio del Passo, con le malghe, gli impianti di risalita e le Pale di San Martino che dominano la scena, anche se oggi sono un po’ coperte dalle nubi. Manca invece almeno un km e mezzo che però supero senza difficoltà, raggiungendo il passo alle 11, in perfetta media oraria, dove scatto la prima foto del giorno. Mi vesto bene per affrontare la lunga discesa che attraverso San Martino Di Castrozza mi porterà a Fiera di Primiero in circa 20 km: il primo ostacolo in discesa sono alcune mucche che procedono sulla sede stradale peraltro in una fila piuttosto ordinata e lo spettacolo merita una foto.

La discesa, almeno per me, è impegnativa quanto la salita ed a un certo punto, poco prima di San Martino di Castrozza, devo anche superare una Panda che procede a velocità pedonali.

Un ponte dopo una lunga serie di tornanti segna l’ingresso a Siror, a cui segue subito dopo Tonadico, località dalla quale parte la strada che devo percorrere oggi, che mi porterà attraverso il Passo Cereda fino all’Agordino e quindi a Belluno.

Subito dopo il bivio approfitto di una bella area di sosta con un invitante acquedotto per il mio “pranzo” odierno, fatto solo delle brioches che mi sono portato dietro e che devo finire prima di arrivare a casa. Tra l’altro, ho l’incognita dei km che mi mancano all’arrivo e quindi decido di non perdere tempo fermandomi a pranzo in qualche locale.

La strada, anche qui appena asfaltata, si innalza gradualmente e dopo un ponte guadagna rapidamente quota, mantenendo una discreta pendenza in tutti i successivi sette km che mi porteranno in vetta. E’ uscito un po’ di sole ed il caldo si fa sentire (è appena passato mezzogiorno) e la salita è “aspra” proprio come avevo letto in una descrizione in uno dei tanti libri che ho a casa. Non ci sono tanti tornanti e i lunghi rettilinei aumentano lo sforzo, ma ad un certo punto alcuni tornanti segnano l’inizio degli ultimi due km e si cominciano a vedere i segni del recente passaggio diel Giro d’Italia. L’arrivo in vetta segna la fine delle difficoltà della tappa di oggi, anche se non conosco benissimo la strada che dovrò percorrere dal passo in poi.

Durante la salita sono cominciate a cadere alcune gocce di pioggia e si sente brontolare qualche temporale (saprò in seguito che in val di Fiemme ed in Val di Fassa ci sono stati fortissimi temporali ed a Canazei – dove sono passato martedì scorso – sono caduti 40 cm. di grandine) che non mi disturbano più di tanto, anche se la strada diventa un po’ scivolosa e ciò mi preoccupa per la discesa.

Per scattare una foto all’arrivo al Passo devo appoggiare la macchina sulla sella della bici ed usare l’autoscatto, dopo che sono risultati vani gli inviti a scattarmi una foto ad alcuni bambini che sono lì in vacanza.

La discesa comincia subito in forte pendenza e quando si addolcisce un po’, trovo l’amara sorpresa di un lungo tratto in salita, che mi fa faticare più del previsto: arrivo comunque a Gosaldo, dopo un brevissimo ma ripidissimo tratto in discesa nella quale pur frenando prendo velocità sulla strada bagnata, e prendo la direzione di Rivamonte al bivio che sapevo avrei incontrato.

Proseguo con tranquillità, anche perché in teoria dovrei arrivare in discesa fino alla statale che da Agordo porta a Belluno, saltando proprio Agordo ed il suo traffico. A sorpresa, quando sto per arrivare a Rivamonte, trovo una strada che gira decisamente a destra con le indicazioni per Belluno e Sospirolo. Non mi ricordavo di averla vista sulle varie cartine che avevo consultato (cosa confermata da un successivo controllo a fine tour) ma mi fido delle indicazioni e prendo la strada che punta decisamente in discesa. Attraverso alcuni paesini (frazioni di Sospirolo) e per un po’ non trovo indicazioni, cominciando a preoccuparmi. Quando trovo un altro cartello con indicazioni verso Belluno mi tranquillizzo un po’ e cerco di immaginare dove cavolo uscirò da questa strada.

La strada dovrebbe essere quella che percorre la Valle del torrente Mis, che ad un certo punto comincio a costeggiare. Dopo un ponte dove vedo i segni della presenza di alcuni giovani che sono stati a fare il bagno, entro in una strettissima gola che meriterebbe qualche foto, ma sono troppo impegnato ad uscire da una situazione che resta comunque incerta e proseguo dritto. Comincio a costeggiare un lago (artificiale – si comincia a scorgere una diga in fondo alla valle) e percorro in piano alcune gallerie che mi costringono ad accendere le luci della bici. Quando supero la diga arrivo in un paese dove ricompaiono i cartelli stradali ed a un certo punto trovo anche l’informazione che tanto aspettavo: per arrivare a Belluno mancano 12 km.

Ancora non so da dove arriverò a Belluno ma dopo un po’ comincio ad avere dei “sospetti” quando vedo alcune cave e tanti camion che trasportano ghiaia. Mi ricordo di una cava che si vede benissimo arrivando da Agordo e dopo un po’ ho la conferma: in una località che si chiama Ponte Mas uscirò da Sospirolo per immettermi sulla statale che da Agordo porta a Belluno in prossimità di Sedico, quando a Belluno mancano circa 7 km.

L’arrivo in città non comporta particolari problemi, a parte il traffico: supero il ponte della Vittoria dopo il primo semaforo e seguo la strada che da Belluno porta a Ponte nelle Alpi passando davanti all’aereoporto ed a una lunga serie di centri commerciali. La strada è prevalentemente in discesa e senza  difficoltà ulteriori arrivo al bivio con la statale di Alemagna a Ponte nelle Alpi. Per raggiungere casa dovrei teoricamente girare a destra, in direzione di Vittorio Veneto, ma ho prenotato a Pian di Vedova, un paio di km più in su, in direzione di Longarone. Raggiungo l’albergo verso le 16.30, parcheggio la bici in uno spaziosissimo garage dove sotto un telo è parcheggiata una Ferrari e raggiungo la mia stanza. Sono almeno un’ora e mezza in anticipo sui tempi previsti così posso riposare un po’ di più.

Dopo una buona cena e quattro passi per digerire, torno in camera mentre fuori sta piovigginando: non sono preoccupato per l’indomani perché le previsioni non mettono pioggia, e comunque l’ultima tappa, la più corta e con l’arrivo a casa, non mi preoccupa più di tanto, visto che non orari da rispettare.

 

 

QUARTA TAPPA

PONTE NELLE ALPI – GRADISCA

95 KM.

25 GIUGNO 2005

 

Una delle poche note positive dell’albergo che mi ha ospitato è che posso far colazione alle sette. Non c’è ancora tutto pronto (mancano pane e brioches) ma un po’ alla volta arriva tutto. Chissà perché, al momento del conto non sono sorpreso dal solito modo di fare degli alberghi in provincia di Belluno: devo pagare il pernottamento e la cena a parte e in tutto sono 78 euro, un po’ esagerato, come il solito…che differenza con l’Albergo al Cervo a Tesero…

Comunque, alle 7 e 40 esco dal garage e mi avvio di nuovo verso Ponte nelle Alpi, supero il bivio per Belluno

E mi dirigo verso il lago di Santa Croce, poco prima del quale giro verso l’Alpago. Nel corso del primo “tour” ciclistico, nel 2001, per raggiungere il Consiglio, mia meta odierna, avevo seguito da subito le prime indicazioni stradali che mi avevano portato per una strada lunga e tortuosa, magari non ripidissima, ma più lunga di quella che avevo fatto in senso contrario un paio di anni dopo. Il problema era trovare l’innesto per questa via diretta e fortunatamente, fidandomi della mia memoria visiva, ho ignorato le prime indicazioni per raggiungere Farra d’Alpago, dove la via diretta aveva effettivamente inizio.

Evidentemente averla fatta in discesa non mi aiutava a ricordarla bene, e la pendenza fin dai primi metri è piuttosto aspra: pensavo si trattasse solo di una rampa e che poi le pendenze diminuissero, ed invece per almeno sei km la salita non da tregua per terminare solo nei pressi di Valdinogher, una borgata con un nome che non avevo dimenticato. Superata la prima difficoltà restavano alcuni tratti in salita per raggiungere la località di Campon e poi il Pian d’Osteria, dal quale pochi kilometri mi separano dal Pian del Consiglio, che resta un posto molto affascinante, con i grandi prati contornati dal bosco. Vorrei scattare alcune foto, ma la macchina è inspiegabilmente appannata, segno che il sudore e la fatica per arrivare sin lì sono stati notevoli.

Dal Pian di Consiglio alla località Crosetta, punto più alto del percorso, la strada prosegue per circa tre km in leggera e non faticosa salita, durante la quale incontro molti ciclisti: anche alla Crosetta vedo molta gente in bici, alcuni sono saliti in macchina per proseguire in mountain bike per i sentieri nel bosco.

Ignoro a questo punto la strada per Vittorio Veneto e proseguo a sinistra in direzione di Caneva, cominciando la lunga e tortuosa discesa che mi porterà sulla pedemontana pordenonese. La discesa è impegnativa, ma quelli, e sono tanti, che stanno percorrendo la strada in senso contrario fanno molta fatica più di me: un paio di pazzi mi superano in discesa in piena velocità, io sono più prudente e preferisco frenare quando ne ho l’occasione. Sto perdendo quota e il caldo comincia a farsi sentire, comincio a togliermi i giubbotti che ho indossato ma nemmeno l’aria in discesa contribuisce a farmi sentire un po’ il fresco. Comunque raggiungo il bivio per Sarone e proseguo diritto, passo davanti alle cave e al bivio con la strada della Pedemontana, per evitare la strada piuttosto trafficata, proseguo diritto, pensando di trovare una strada principalmente in discesa. Fino a Polcenigo, della quale attraverso il centro, in effetti non ci sono problemi, che cominciano in direzione di Budoia con una strada in costante salita per stradine che si fanno sempre più tortuose: cerco di seguire le indicazioni per Aviano che ad un certo punto scompaiono. Faccio rifornimento d’acqua ad una fontana dove c’è scritto “non potabile” ma un vecchietto seduto lì vicino mi rassicura e mi dice che la bevono tutti.  Devo così tornare sulla strada principale, dove almeno approfitto della lunga discesa per arrivare fino avanti al CRO di Aviano per poi proseguire per il centro. Passo davanti alla base Nato, attraverso il centro e mi dirigo verso la strada che mi porterà, attraverso Sedrano, San Foca, Vivaro e Basaldella fino casa in circa 30 km. A questo punto l’unica difficoltà è rappresentata dal guado del Meduna, dove è anche aperto il cantiere per la costruzione del nuovo ponte, che mi costringe ad alcune acrobazie sullo sterrato. Quando supero il guado a casa mancano poco più di dieci kilometri e attraverso Barbeano e Bussolino, arrivo a casa alle 13.40 e trovo pronto il pranzo.

Anche quest’anno è andata, sono molto soddisfatto: non ho raggiunto il kilometraggio dell’anno scorso, ma ho superato difficoltà altimetriche forse maggiori e mi sono tolto la soddisfazione, nella tappa extra in val di fiemme, di scalare il Passo Lavazè che nell’unica volta che l’avevo provato in precedenza mi aveva costretto a fare qualche centinaio di metri a piedi. Ora non mi resta che studiare un nuovo percorso per il prossimo anno: la galleria per Barcis non mi fa più paura, aumentano quindi le possibilità di scelta…vedremo.

 

 

LA CILIEGINA SULLA TORTA

 

MONTE CROSTIS – SABATO 1 LUGLIO 2005

 

Volendo approfittare del fatto che ero ben allenato dal giro che avevo appena terminato, si trattava di scegliere una salita “importante” per chiudere in bellezza la settimana di ferie. Avevo pensato allo Stelvio, ma era troppo lontano e troppo pieno di incognite su percorso per poterlo scegliere ora senza una dovuta pianificazione.

Volendo restare in Friuli, mi restavano due possibilità: lo Zoncolan e il Monte Crostis. Lo Zoncolan da Ovaro è una sfida all’impossibile (sei kilometri  con una pendenza media del 14,5%) ma il Monte Crostis da Comeglians, con l’obbiettivo della “panoramica delle vette” una volta giunto in vetta era molto alettante. Catalogata come salita dalla massima difficoltà in un libro che avevo a casa, la salita prevede più di 1450 metri di dislivello in circa 15 km, ed arriva nel punto più in alto nel quale arrivi una strada asfaltata in Friuli.

Decido di partire da Villa Santina, che raggiungo in macchina, per potermi scaldare nei circa 12 kilometri che mi separano da Comeglians: fa decisamente freddo (quando parto sono le 8.15) e faccio fatica a scaldarmi. Lo farò sulle prime rampe della salita.

Passato il centro di Comeglians, arrivo al bivio per Tualis, dove dopo una breve galleria comincia la vera salita.

La strada è asfaltata di recente e le pendenze all’inizio non sono proibitive: passo per varie Borgate (Mieli tra tutte) ed alzandomi man mano sulla Val Degano, comincio ad avvicinarmi a Tualis che sarà l’ultimo centro abitato prima della salita finale. Si comincia a vedere bene dall’alto la strada che porta a Rigolato e a Sappada ed indietro si cominciano a vedere bene Ovaro e le sue frazioni.

Giunto a Tualis approfitto di una fontana per rinfrescarmi e proseguo diritto ad un bivio, sperando di non avere sbagliato strada. Mi conforta subito il fatto di essere superato da tre colleghi ciclisti che mi chiedono se ho intenzione di arrivare fino in cima: gli rispondo naturalmente di si e che ho intenzione di proseguire anche sullo sterrato per scendere a Ravascletto. Io sono con la mia bici “ibrida”, con rapporti da city bike e ruote da 28 e copertoni più larghi, loro sono in bici da corsa e mi dicono che non proseguiranno per lo sterrato con le ruote che si ritrovano.

La strada nel frattempo si è fatta più stretta e le pendenze cominciano a farsi sentire, anche se il fresco del bosco contribuisce a far sentire meno la fatica. Approfitto di alcuni tornanti per alleggerire la spinta e trovo uno dei ciclisti che si è fermato per una sosta “fisiologica”. Quando riparte facciamo circa un km assieme e parliamo delle nostre esperienze ciclistiche, poi lui prende e se ne va.

Lo rincontrerò quando alla cima mancheranno circa sei kilometri, fermo ad una fontana con i suoi compagni di viaggio, intenti a parlare con un signore che poi scoprirò essere uno che si sta allenando alla corsa in salita.

Io non mi fermo, proseguo diritto con il mio ritmo, sicuro che prima o poi sarò ripreso. Invece non succederà, e comincio a credere che ciò non sia dovuto al fatto che ho aumentato vertiginosamente la mia velocità, quanto al fatto che i tre compari abbiano rinunciato a proseguire.

Intanto mi sto avvicinando sempre di più alla mia meta e quando esco dal bosco dovrebbero mancare più o meno due kilometri : una lunga serie di ripidi tornanti dai quali si ha una splendida veduta anche su Forni Avoltri precedono l’arrivo nel punto più alto della salita, non segnalato comunque da alcun cartello: ad una fontana c’è solo un indicazione per la “Panoramica delle vette” che non serve a molto: la strada, sterrata, che per circa sette km si mantiene in quota a circa 1870 m. si vede benissimo, esposta in costa a seguire le rive della montagna. Il passaggio dall’asfalto allo sterrato è piuttosto brusco e un forte vento mi consiglia di indossare un giubbotto. La fatica e l’impegno per arrivare in cima e l’attenzione che devo mettere nel percorrere i km di sterrato mi consentono comunque di godere dello spettacolo offerto dal panorama che si apre davanti a me, giù in basso. Percorrendo lo sterrato a bassa velocità ci metto un po’ di tempo più del previsto ad arrivare all’inizio della discesa per Ravascletto, dove ricomincia l’asfalto in prossimità di un tornante presidiato da alcune mucche.

La strada asfaltata è molto sporca: non so se ciò sia dovuto ad un temporale o al lavoro di un impresa della quale si vedono alcuni mezzi in sosta. Ci devo mettere molta attenzione anche perché tra aghi di pino, ghiaia, ramaglie etc. sono molte le insidie da evitare per non forare o, peggio, cadere.

Dopo circa dieci km arrivo comunque al bivio di Sella Valcalda, in prossimità di Ravascletto: ho già telefonato a casa dicendo che non sarei arrivato in tempo per il pranzo e decido di svoltare in direzione di Comeglians dove so che c’è una pizzeria dove mi hanno detto si mangi molto bene. Anche tre ciclisti austriaci che scendono per la stessa strada hanno lo stesso problema e si fermano a chiedere ad una vecchietta: io proseguo sicuro della mia meta ma trovo la pizzeria chiusa. Decido quindi di proseguire e dopo che a Ovaro non ho notato nessun posto do ve poter mangiare, mi fermo a pochi metri dalla macchina a Villa Santina, dove seppure siano le due meno un quarto, mi servono velocemente un buonissimo pranzo ad un prezzo veramente onesto.

Bevuto il caffè non mi resta che raggiungere la macchina  e caricare la bici. Ho compiuto una piccola impresa, sono arrivato dove non avrei mai pensato di riuscire. Ho finito le ferie, ma va bene così.

 

ciclotour 2005ultima modifica: 2012-04-08T10:48:02+02:00da maxpres8
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