ciclotour 2002

CICLO TOUR 2002

 

Dopo una lunga preparazione, studio del percorso, dubbi sulla partenza, conteggio dei kilometri. Effettuato anche con l’ausilio del computer (che ancora una volta non si dimostra affidabile – evidentemente fa fatica anche lui sulle salite…) lunedì 17 giugno alle ore 6.35 parto per la seconda esperienza del tour Gradisca-Dolomiti e ritorno, con percorso molto variato rispetto a quello effettuato nel 2001.

 

Primo giorno – 1.a tappa – GRADISCA-DOBBIACO    150 KM.

 

La partenza avviene tra i dubbi che a Villanova di San Daniele ci possa essere rimasto qualche residuo della Biker’s Fest che abbia voglia ancora di compiere qualche evoluzione (clamorosi ancora i segni dei pneumatici sulla strada). Vane preoccupazioni, anche se il traffico fino al bivio per Aonedis risulta abbastanza insopportabile. Per fortuna la deviazione prevista per Ragogna, Muris, Cimano e Cornino da i suoi frutti (traffico praticamente inesistente). La prima sosta è al monumento a Bottecchia poco prima di Peonis per la prima foto del raid.

L’arrivo a Tolmezzo avviene più o meno nel tempo programmato e la buona notizia è che evito lo stradone che arriva da Amaro per immettermi direttamente sulla strada per Villa Santina, dove un automobilista di passaggio, evidentemente appassionato di bici, vedendomi fermo a bordo strada, si ferma per chiedermi se ci sono problemi: sto solo facendo rifornimento (scambio delle borracce d’acqua) per cui lo rassicuro.

Il percorso non presenta particolari difficoltà, anche se il caldo comincia a farsi sentire…sosta a Rigolato per fare il pieno di “ago fres-cio” e via verso Forni Avoltri e Sappada, dove vorrei fermarmi per il pranzo. Ma il caldo e la fatica mi consigliano di fermarmi prima e così scopro con piacere che il ristorante dello stadio del Biathlon di Piani di Luzza è aperto e ne approfitto.

Mangiato con calma, fatto il pieno d’acqua e assistito alle prime battute di Brasile-Belgio dei mondiali, riparto con la prospettiva di affrontare subito la prima salita molto impegnativa della giornata (4 kilometri fino a Cima Sappada) Il primo strappo è micidiale, forse avrei dovuto aspettare un po’ di più prima di ripartire; penando un po’ arrivo in cima, dove preferisco fermarmi un attimino ancora all’ombra prima di affrontare la discesa fino a Santo Stefano di Cadore e, soprattutto, i 21 kilometri di salita fino al Passo Monte Croce Comelico. Fa ancora molto caldo quando inizio la salita, e ogni fonte d’acqua è occasione di ristoro. Per fortuna l’ascesa si divide in tre parti (quasi uguali per lunghezza) che permettono di “riposare” un po’ prima di affrontare il tratto più duro che conduce in vetta. Una foto ad una cascata è la scusa buona per scendere dalla bici, che intanto ha cominciato a dare dei problemi, con rumori fastidiosi soprattutto sottosforzo.

Comincia così a farsi strada l’idea di anticipare il previsto giorno di riposo, anche per cercare un meccanico che risolva il problema. Desistito dall’idea di proseguire a piedi, piano piano proseguo a velocità quasi “pedonali” quando all’improvviso, dopo una curva appare l’ampio spazio che precede il passo. Anche se manca più di un kilometro l’impressione è già di avercela fatta ed il panorama è splendido e aiuta molto a vincere la stanchezza. Una foto veloce sotto il cartello del passo (la qualità della quale testimonia la stanchezza – a quel punto i chilometri percorsi sono 130 circa) e via in discesa verso San Candido. Fa ancora talmente caldo (sono da poco passate le diciotto) che è sufficiente un gilet leggero per affrontare la discesa. Passati Moso e Sesto in un momento, a San Candido mi viene l’ispirazione di prendere una stradina che pare essere una pista ciclabile ove riconosco alcuni luoghi attraversati durante la Pustertaler marathon di fondo corsa il 13 gennaio. La strada mi conduce, senza strappi (che avrei dovuto affrontare se avessi percorso la statale) fino alla stazione e nei pressi dell’albergo dopo 150 kilometri (tondi) e 10 ore e 15 minuti di bicicletta. La media non è esaltante ma tant’è, sono arrivato e tanto basta.

 

 

 

Secondo giorno – riposo anticipato

 

La necessità di riparare la bicicletta mi impone di anticipare il giorno di riposo, previsto in Val di Fiemme per il mercoledì.

So che sulla statale per San Candido c’è un negozio che noleggia bici e mi ci reco per vedere se fanno anche riparazioni: risposta negativa “bisognerebbe andare a Brunico” dice i proprietario, ma sono trenta chilometri e così lo mando a quel paese. Mi rivolgo così all’ufficio informazioni che mi consiglia due alternative: un negozio di articoli sportivi vicino al mio albergo o due officine a Monguelfo (a 10 kilometri). Per fortuna al negozio di articoli sportivi mi consigliano di rivolgermi ad un riparatore che lavora in casa nei pressi dello stadio del fondo. Faccio fatica a trovarlo: la sua “officina” è composta da un gazebo di plastica, un tavolo ricolmo di chiavi, un cavalletto per tenere su le bici e un porta ruote per la centratura. Mi appare un tipo piuttosto allampanato, magro come un chiodo, in sandali e non sembra proprio un meccanico. Gli spiego il problema, gli dico che se c’è da cambiare un pezzo non ci sono problemi. Lui esamina la bici come uno che debba aprire una cassaforte e mi dice che un pezzo originale così non ce l’ha, ma che comunque potrebbe montarne uno di qualità superiore che però costa. Gli dico che va tutto bene e che ripasserò in serata per ritirare la bici. Me ne vado in un misto di preoccupazione e fiducia e già che sono per strada, mi dirigo a piedi lungo la pista di sci di fondo dallo stadio di Dobbiamo fino al lago. Fatte le foto alla versione estiva dello stadio (campo di patate compreso) mi rilasso un po’ prima di fare ritorno in paese per il pranzo e per vedere Italia Corea (con commento tedesco, la Rai si prende male).

Verso le cinque vado a ritirare la bici e la trovo pronta, riparata senza bisogno di cambiare pezzi ma solo con una regolazione del movimento centrale fatta a regola d’arte.La provo e sembra proprio tutto a posto. Mentre mi sta facendo il conto, mi dice che ci sarebbe la ruota posteriore da centrare, ma che siccome non glie l’avevo detto non l’ha fatto. Acconsento e pago il conto, con regolare ricevuta fiscale: 15 euro e passata la paura

Un giro per Dobbiaco e dintorni per provare ancora la bici e poi, subito dopo cena, a letto presto che domani c’è il Pordoi…

 

Terzo giorno – seconda tappa – Dobbiaco – Tesero – 130 km

 

Partenza più o meno alle ore 8. Decido di prendere la statale della Val Punteria invece che la pista ciclabile (che non conosco bene) e devo soffrire un po’ per il traffico piuttosto intenso. La strada è prevalentemente in discesa verso Brunico ed il paesaggio è, come al solito, notevole, specialmente la vista sulla stessa Brunico che però si gode da un viadotto sul quale non ho voglia di fermarmi. Poco dopo una galleria che pensavo fosse più lunga (mi ero messo anche il giubbetto per i freddo – ma non serviva) sto quasi per sbagliare strada ma la velocità alla quale vado mi permette di accorgermi subito dell’errore e arrivo al bivio per la Val Badia rispettando la tabella di marcia e la previsione di kilometraggio. La prima parte della strada, interessata da imponenti lavori fino a San Vigilio di Marebbe, è un susseguirsi di cantieri, semafori, interruzioni che cominciano ad innervosirmi. Per fortuna dopo un ponte(dal quale scatto una foto)  le cose vanno migliorando e arrivo a Pederoa (inizio ufficiale della salita verso Corvara ed il Campolongo). La strada sale dolcemente e mi permette di osservare una media normale, anche se non velocissima. Dopo San Canziano riconosco la strada già percorsa (in senso contrario) due anni fa e di profilo comincio a scorgere il Sassongher che domina Corvara, nella quale arrivo accolto da una nuvola interminabile di moscerini. Vista l’ora (mezzogiorno passato) decido di fermarmi a mangiare a Corvara invece che ad Arabba, riservando la salita al Campolongo dopo il pranzo. Mi preoccupo un po’ per la tenuta non troppo elegante e sudaticcia, ma quando vedo che il posto è pieno di operai dei numerosi cantieri della zona mi preoccupo un po’ meno.

La salita al Campolongo non è durissima e la splendida vista su Corvara aiuta a superare le difficoltà. Provo a scattarmi una foto “in azione” ma il tempo che mi dà l’autoscatto è troppo poco. La foto da fermo comunque è molto bella, con un totale di Corvara alle mie spalle. Sulle ultime rampe della salita qualche ciclista mi supera, ma è normale. La fatica a causa del caldo si fa sentire, ma arrivo in vetta abbastanza tranquillamente. Una foto e giù verso Arabba e l’inizio della salita che negli ultimi due anni mi ha respinto: il Pordoi. Notato che il paese sta crescendo verso il passo, con tantissimi nuovi cantieri, inizio la splendida strada affrontando il primo dei 33 tornanti. La velocità è, manco a dirlo, quasi da pedone (le borse si fanno sentire) però non mi faccio cogliere da crisi e salgo con regolarità (aiutato dal fatto che il traffico non è, come invece di solito, troppo fastidioso).

L’unica sosta serve a recuperare una borraccia piena dalla borsa e per fare il pieno di energia per l’ultima metà della salita. Il tempo si fa minaccioso e le nuvole sopra il passo sono gonfie di pioggia, ed infatti poco dopo il cartello dei 2000 mt di altitudine comincia a cadere qualche goccia. Decido di resistere e, casomai, di fermarmi sotto i due cavalcavia a 1 km dal passo. Non piove troppo e decido di continuare e arrivo trionfalmente in cima dove mi faccio fotografare da un turista tedesco davanti al monumento a Coppi. Quando riparto devo superare le difficoltà di un cane (pastore belga) che per fortuna ha la museruola che mi rincorre abbaiando, col rischio di farmi cadere: qualche bestemmia nei confronti dei padroni che chissà dov’erano e giù in discesa verso Canazei. Comincia a cadere qualche gocciolone ma per fortuna la pioggia non è insistente per tutta la discesa e si fa insistente solo verso Pera di Fassa, dove deciso di fermarmi ed aspettare un po’,

Riparto quando piove ancora ma non troppo, arrivo a Moena che ha smesso e scopro che la strada è bagnata solo fino all’altezza della partenza della Marcialonga. A Predazzo c’è il sole e davanti ai trampolini mi fermo per togliere l’impermeabile. In Val di Fiemme non è caduta nemmeno una goccia e fa caldo come in pianura. Mi fermo a Panchià (4 km all’arrivo) per bere ad una fontana dove scambio due parole con un simpatico residente e praticamente sono arrivato: L’ultima difficoltà è la salita fino all’albergo, dove sono l’unico ospite (è chiuso il ristorante, che mi costringe a cercare un posto per cenare) ma non importa. La visita serve a confermare la prenotazione della stanza per i campionati del mondo di sci di fondo del febbraio 2003, per i quali l’albergo è già tutto esaurito. Le soste per la pioggia hanno ritardato l’arrivo che comunque avviene prima delle 18, e va bene così.

 

Terza tappa – Tesero (TN)-Limana (BL) 122 km

 

Fa già caldo alle 7 e 45 quando lascio l’albergo: subito una sosta in piazza a Tesero per il pieno d’acqua e poi la partenza definitiva verso Cavalese e Molina, dove inizia, dopo circa 10 km dalla partenza, la grande difficoltà della giornata, il passo Manghen. E’ una salita di circa 16 km, con un dislivello di circa 1.200 metri con pendenze che si alzano sempre più man mano che ci si avvicina alla vetta. I primi otto chilometri, fino alla località Ponte della Stua, presentano strada larga e pendenze medie; da Ponte Stua in poi camion e autobus non possono proseguire ed anche il traffico di moto e auto è piuttosto scarso. La strada è stretta ma per circa 5 kilometri corre in mezzo al bosco, l’asfalto è nuovo e l’ascesa, pur faticosa, non presenta particolari strappi, con molti tornanti ad alleviare la fatica. L’uscita dal bosco avviene a circa tre chilometri dalla vetta in prossimità di una malga dove pascolano mucche a decine, alcune delle quali in mezzo alla strada: provo a fare una foto ma il cavalletto è troppo basso e la foto non da l’idea della bellezza del posto. La fine della salita sembra non arrivare mai, e quello che sembra essere l’ultimo tornante in realtà è solo la curva che precede l’ingresso al rifugio del passo, mentre per il valico ci sono ancora due tornanti e circa 300 metri. L’emozione in cima è forte ed un americano si offre volontario per farmi una foto. Il posto è splendido e anche il panorama verso il versante sud è notevole. Nel frattempo arrivano due anziani ciclisti veronesi che hanno scalato il passo dal versante più duro, quello sud (22 km e 1700 metri di dislivello) e imprecano per il fatto di non avere portato la macchina fotografica. Scatto loro una foto e mi faccio dare l’indirizzo per spedirla. Contento per la “buona azione”, affronto la lunghissima discesa, durante la quale incontro una buona dozzina di ciclisti americani, maschi e femmine, che si stanno spremendo sulla salita che pare tremenda, tutta al sole e con pochissimi tornanti. Rischio un frontale con una di loro che non riesce a proseguire e per sganciare la pedivella si mette di traverso. Alla fine della discesa mi confondo tra Strigno e Grigno (due paesi della Valsugana dove sono entrato) e faccio un piccolo giro supplementare prima di prendere la statale che è diretta a Primolano, dove attraverso la salita chiamata “le scale” eviterò la nuova galleria (in salita) che porta ad Arsiè e quindi a Feltre. E’ ora di pranzo e mi sto chiedendo se sia possibile che in una statale così trafficata non ci sia una trattoria: infatti in lontananza vedo dei TIR parcheggiati e mi dico che è la volta buona, sperando non sia il parcheggio di una concessionaria. Mi va bene e riesco a mangiare più o meno le stesse cose mangiate a Corvara pagando però dieci euro di meno.

La salita non è durissima ma il caldo è quasi insopportabile e una fontana a metà è un’attrazione irresistibile. Deluso dal fatto che non ci sia praticamente discesa dopo la fine della salita, dopo avere superato un lago che in inverno non avevo notato, arrivo a Feltre dove mi fermo (come l’anno scorso) presso l’ospedale prima di affrontare l’ultimo tratto fino a Limana.

Affronto la stessa strada che l’anno prima mi aveva ucciso con inaspettati saliscendi con più calma e tranquillità, ma non vengo aiutato dalla cartina per rintracciare il paese di arrivo. Arrivo ad un segnale che lo segnala ad 8 km, ma ne faccio oltre dieci e non vedo tracce della mia meta: ad un bivio mi fermo e chiedo indicazioni ad un altro ciclista che mi manda completamente fuori strada. Torno al punto di partenza e scopro che il paese era a solo un kilometro dal punto in cui mi ero fermato originariamente. Un altro strappetto per arrivare all’albergo e finalmente posso scendere dalla bici, anche se a causa del caldo sarà dura riposare. Il paese non offre granchè e così dopo un ottimo gelato vado direttamente a letto, anche se non riuscirò a dormire per il rumore della strada e, naturalmente, per il caldo.

 

Quinto giorno – quarta tappa – Limana-Gradisca, 102 kilometri.

 

Gli alberghi vicino Belluno dimostrano sempre di avere delle gestioni particolari e così scopro che la cena devo pagarla a parte…grazie comunque alla vecchia signora madre del proprietario (unica persona alla mano del posto) riesco a fare colazione molto presto e partire prima delle 7 e 30.

Sono vicino a Belluno e mi diverto a zigzagare nel traffico congestionato da alcuni cantieri. Non ho fatto il pieno d’acqua ma credo di ricordare una fontana nel tratto che porta a Ponte nelle Alpi ed infatti ne approfitto. Riesco a non sbagliare strada all’incrocio sulla statale d’Alemagna e proseguo verso Longarone decidendo di attraversare dubito il Piave e salire sulla sponda sinistra, che si dimostra pù impegnativa ma che presenta un traffico praticamente nullo. Arrivo così ai piedi della salita che conduce fino alla diga del Vajont e poi al passo Sant’Osvaldo. E’ una salita che non avevo mai fatto che si dimostra impegnativa ma non difficile; arrivo alla diga e vorrei fermarmi ma due corriere di turisti vocianti mi fanno desistere: chissà se si rendono conto di quello che è successo lì. Proseguo allora per il passo e più che una salita la strada presenta più o meno un saliscendi anche divertente. Sono in perfetto orario con la tabella di marcia e fatti i calcoli, dovrei arrivare a casa prima delle due. Passo Cimolais, Claut e arrivo a Barcis dove cominciano le nuove gallerie (una di 1 km e una di 4,5 km) che mi costringono a vestirmi bene e ad accendere i fanali per maggiore sicurezza. Arrivato a Montereale deciso di passare per il nuovo Ponte Giulio e scendere per Maniago, Colle e Sequals, strade che conosco bene e che affronto con impegno, per arrivare a casa prima possibile. Il traguardo è raggiunto alle ore 13.15 circa, dopo 102 km parziali e circa 500 totali. E’ andata bene, ma devo cominciare a pensare ad un nuovo percorso per il prossimo anno.

ciclotour 2002ultima modifica: 2012-04-08T10:44:00+02:00da maxpres8
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