ciclotour 2010

Premessa.

Non avevo ancora scritto niente dell’edizione 2009 del mio tradizionale giro in bici di giugno perché era stata una edizione che avevo dovuto troncare a metà a causa dei problemi di salute di un carissimo amico che, pur perdurando da più di un mese, sembravano andare verso un lieve miglioramento proprio nei giorni precedenti la partenza, avvenuta il 22 giugno.

Come amico e come presidente del coro in cui ambedue cantavamo, mi era sembrato logico essere presente a casa nel caso fosse successo il peggio: col senno di poi avrei potuto continuare il viaggio, visto che la forte tempra di Angelo Cesaratto l’aveva fatto resistere fino al quattro luglio, primo giorno successivo alla fine delle mie due settimane di ferie. Forse, inconsciamente, anche nelle condizioni in cui si trovava aveva pensato che non era il caso di rompere le scatole a chi come me era in ferie e si stava rilassando.

Comunque la prima tappa dell’edizione 2009, che era stata l’unica nella quale avevo seguito l’itinerario programmato mi aveva visto partire un po’ più tardi del solito, alle 7.50 circa, in direzione della Val Cellina, attraverso l’itinerario classico, via Maniago e Montereale, per raggiungere poi Longarone attraverso il Passo di S.Osvaldo, raggiunto in circa 4 ore e un quarto di viaggio. Avevo deciso di non seguire la via diretta per raggiungere Ponte Nelle Alpi attraverso la trafficatissima statale di Alemagna scegliendo il tragitto sulla sinistra del Piave, ma forse a causa di indicazioni non precise o perché non mi ricordavo bene il tragitto percorso in senso inverso qualche anno prima, mi ero trovato ad attraversare il fiume appena più a sud oltretutto tornano leggermente in su, per tornare poi sulla strada statale a destra del Piave.

Avevo approfittato per fermarmi a mangiare un panino in un locale davvero poco frequentato anche se all’interno di una zona industriale e avevo raggiunto il bivio per Belluno dopo circa sei ore dalla partenza. Adesso stavo seguendo la strada che di solito faccio in macchina per raggiungere la valle di Fiemme, attraversando il centro di Belluno per raggiungere la località di Ponte Mas dopo Sedico dove l’avrei lasciata per dirigermi verso il monastero di Vedano sulla strada che mi avrebbe condotto verso il lago del Mis, bacino artificiale costituito dallo sbarramento sul torrente Mis. La strada costeggia il lago quasi in piano, per poi alzarsi progressivamente fino alla quota di circa 1020 m. in poco più di 20 km di salita talvolta anche impegnativa con un dislivello complessivo di circa 700 m. La salita termina in corrispondenza dell’incrocio con la strada che proviene da Gosaldo e dal Passo Cereda e scende progressivamente, in circa dieci km, fino ad Agordo dove ho prenotato l’albergo per la notte. Arrivo verso le 17.30 dopo 137 km e ho la sorpresa di trovare la cucina dell’albergo chiusa. Dovrò girare un po’ per la cittadina di Agordo per trovare un posto per mangiare qualcosa (una pizza) e per notare che la cittadina non offre granchè al turista, almeno di primo acchito. Vado a letto verso le nove e spengo il telefonino, il che mi consentirà di dormire tranquillo, visto che se avessi ricevuto la telefonata di mio fratello che mi preannunciava l’improvviso ulteriore peggioramento delle condizioni di Angelo, forse non avrei dormito troppo bene.

La seconda tappa prevedeva l’arrivo in Val di Fiemme attraverso Alleghe, Caprile, la salita della Digonera ed il Passo Pordoi da Arabba.

Fatta presto colazione, mentre dopo poco più di 1 km mi fermo a fare rifornimento d’acqua mi ricordo di accendere il telefonino e trovo il messaggio di mio fratello che annuncia il peggioramento delle condizioni di Angelo: sono confuso e proseguo senza sapere cosa fare e dopo un altro paio di chilometri mi fermo in un ampio piazzale per fare un po’ di telefonate per capirci qualcosa: dopo inutili chiamate a casa e all’amico comune Franco Cazzotti, chiamo il genero di Angelo, Giuliano, il quale mi spiega che la situazione è disperata e che in giornata tenteranno un intervento di emergenza: a questo punto non me la sento di proseguire e decido di tornare a casa.

Mi riavvio verso Agordo per raggiungere Belluno per la strada normale: mi fermo poco dopo un’ora per telefonare a Lorenza, titolare dell’Albergo al Cervo di Tesero ove avrei dovuto arrivare per la notte e fermarmi per altri due giorni avvisandola che per cause di forza maggiore devo interrompere il viaggio: restiamo d’accordo che se la situazione lo permetterà proverò prenotare tre o quattro giorni per la settimana successiva.

Devo arrivare a Ponte nelle Alpi e per non fare il percorso dell’andata provo ad avventurarmi per le strade di Belluno per cercare una via alternativa a sud della città che è quella che proviene da Feltre e passa per la sinistra Piave, attraversando tra l’altro paesi come Mel, Trichiana, etc. Dopo circa tre ore e un rifornimento d’acqua che trovo puntualmente in una fontana della quale ormai conosco perfettamente l’ubicazione, mi immetto di nuovo sulla statale di Alemagna in direzione sud, per arrivare nella località “la secca” dove giro a sinistra per addentrarmi nel territorio dell’Alpago e le sue colline che mi porteranno sull’altipiano del Cansiglio dal quale scenderò verso Caneva e la pedemontana pordenonese per raggiungere casa. Ci sono due vie che portano all’altipiano: una diretta e molto impegnativa che parte da Farra d’Alpago l’altra che presenta un percorso più lungo ma più dolce ed ondulato che passa per Tambre e tante piccole frazioni tra le quali ricordo quella di Borsoi, un po’ perché si chiama come un mio zio e un po’ perché su un muretto si vede ancora una vecchia scritta “viva Gimondi abbasso Merckx” segno di un lontanissimo passaggio del Giro d’Italia. A Tambre mi fermo per mangiare un panino quando mancano circa 12 km allo scollinamento del bivio “Crosetta” sulla strada che sale all’altipiano da Vittorio Veneto.

Appena comincio la lunga e ripida discesa che mi riporterà in pianura comincia a piovere e la strada si fa un po’ viscida, il che mi fa prudentemente andare con la calma. Quasi alla fine della discesa riesco a trovare una scorciatoia che mi porta direttamente all’incrocio di Fiaschetti di Caneva dove ho intenzione di prendere la strada che attraverso Vigonovo, Roveredo in Piano, San Quirino e Vivaro mi riporterà a casa. A questo punto ho percorso 96 km in circa sette ore (comprese le pause) e me ne mancano circa quarantacinque per arrivare a casa. Continua a piovere (continuerà per tutto il percorso) e la strada è in leggera salita fino a Vivaro e mi fa penare un po’. Arrivo a casa quando sono circa le 18 dopo 142 km durante i quali ho avuto modo di pensare tanto ad Angelo, nella speranza che tutto si possa risolvere. Non succederà, succederà invece quando io avrò finito le ferie che Angelo ci lascerà…avrei potuto terminare il giro come programmato ma sono contento della mia scelta. Ci saranno altre occasioni.

Ciclotour 2010

Prima Tappa: Gradisca-Fradea di Castel Tesino – 147 km 9 ore 27 minuti

Le pessime condizioni meteo del fine settimana non mi avevano spaventato, più o meno tutti i siti internet di previsioni erano d’accordo che le piogge sarebbero terminate la domenica pomeriggio e che lunedì 21 giugno ci sarebbe stato tempo nuvoloso ma non pioggia.

Mi alzo alle 6, ed infatti il tempo è molto nuvoloso, ma non piove: fa fresco, e per questo scelgo di indossare la maglia con le maniche lunghe un pelino più pesante di quella che volevo indossare a maniche corte, rinunciando così,ad indossare i manicotti con i quali non mi sono mai trovato bene. Gli ultimi preparativi (la bici era pronta da sabato) e una buona colazione precedono la partenza che avviene alle 6.40 circa. Non ho ancora deciso quale strada scegliere per raggiungere il ponte sul Meduna a Vivaro, scelgo di andare attraverso Provesano e Barbeano, in modo da evitare la strada che da Spilimbergo porta alla statale Cimpello-Sequals. Sento che le gambe girano bene e verifico con piacevole sorpresa che tutto il tragitto dopo il ponte per Vivaro (una strada nuova con tante rotonde) non è poi così faticosa come pensavo, e mi rilasso ancora di più dopo il ponte sul Cellina che mi porta a San Foca, con la strada che ho percorso al ritorno nel 2009 che è in falsopiano o in leggera discesa. Fila tutto liscio fino all’incrocio di Fiaschetti e poco prima di Caneva ho l’impressione che le ruota anteriore non sia gonfiata a dovere…scendo e il controllo non rivela problemi. Arrivo a caneva in perfetta tabella di marcia e noto con piacere che il semaforo in piazza è stato sostituito da una più scorrevole rotonda che mi inserisce sulla strada che mi porta a Cordignano dove evidentemente, e tradizionalmente, questo è periodo di sagra: faccio lo slalom tra i baracconi e ignoro il segnale di strada chiusa, con la bici infatti non ho problemi. Riesco a trovare poco dopo l’incrocio per Cappella Maggiore che mi permette di arrivare a Vittorio veneto senza passare per la statale pontebbana e proprio mentre sto per entrare in città ricevo una telefonata da un collega per una spiegazione tecnica su invio di allegati via e-mail: riesco a parlare mentre pedalo perché indosso le cuffiette che mi hanno permesso di ascoltare la radio fino a quel momento. L’uscita da Vittorio Veneto si rivela come al solito un po’ caotica (sempre troppo traffico) e arrivo al bivio per Revine Lago e Valdobbiaddene verso le dieci: mancano una decina di km al paese di Tovena dove inizia la prima salita del viaggio, l’ascesa al Passo San Boldo. Una sosta in piazza per mangiare qualcosa e fare il pieno d’acqua ad una fontana e comincio i sei km che mi porteranno ai 710 metri circa del Passo con un dislivello di cir ca 500 m. La salita è piuttosto regolare e scandita da 18 tornanti, segnalati a partire dal 18.mo, con gli ultimi 8 concentrati nell’ultimo km e tutti in galleria scavata nella roccia: lo spettacolo dei tornanti visti da sotto merita più di una foto e ne scatto una anche al momento in cui passo davanti al cartello che segnala il passo, che raggiungo alle 11.25, in un tempo che mi consente di prenderla comoda…l’ultima volta che feci questa strada arrivai oltre mezz’ora dopo. Comincio la discesa verso Trichina già preparato al fatto che circa a metà troverò un breve tratto in salita che quindi non mi sorprende e a mezzogiorno in punto mi immetto sulla statale che mi porterà a Feltre. Mi fermo poco dopo Mel in un supermercato dove compero il necessario per farmi due panini, uno dei quali lo consumo a Lentiai in una panchina a lato della strada vicino ad una fontana. Quando mi alzo per ripartire mi accorgo che ero seduto proprio davanti ad una filiale della mia banca…sorrido e proseguo. Dopo avere superato lo sbarramento sul fiume Piave a Busche mi dirigo verso Feltre che raggiungo verso le 13.15 (non pensavo di arrivare così presto – avrei potuto prevedere una sosta alla birreria di Pedavena distante tre-quattro km dove avrei potuto mangiare benissimo e bermi una buonissima birra) Dopo un lunghissimo rettilineo all’uscita da Feltre in costante fastidiosa salita, arrivo al bivio per Arten da dove raggiungerò Fonzaso e l’inizio della strada per il passo Rolle evitando un lungo tratto di trafficata statale. Quando sto per uscire dal paese di Fonzaso (dove c’è la sede della casa di produzione di articoli sportivi Sportful), incontro un signore in bici al quale chiedo se ci sia una alternativa alla lunga galleria in salita che avrei dovuto affrontare di lì a poco: anche lui deve fare la mia stessa strada e mi rassicura: sono preparato con fanali davanti e dietro ma per fortuna non serviranno: la strada esterna alla galleria è un po’ sporca, incontro anche una impetuosa cascata che fa arrivare un po’ d’acqua anche sulla strada e mi immetto sulla statale per il passo Rolle proprio all’uscita della galleria, quando mancano poche centinaia di m. al bivio in località Ponte Serra nel quale lascerò la strada per il Rolle (che riprenderò molto più avanti nell’indomani) quando sono le 14.10 circa. Ho studiato bene il percorso e sto attento alle indicazioni stradali perché dovrò girare verso ovest ad un tornante dopo il quale dovrei trovare un po’ di discesa dopo un paio di km di salita abbastanza impegnativa: trovo il bivio ma ho subito la sorpresa di trovare chiusa la strada per lavori, che non mi permette nemmeno di passare con la bici. Sono costretto quindi a tornare indietro e fare una lunga deviazione di circa 4 km dei quali due in salita che mi porterà a Lamon (famosa per la produzione dei fagioli) per poi tornare sulla strada che avevo previsto di fare. Un successivo controllo sulla cartina mi farà notare che il tratto di strada chiusa era di poche centinaia di metri. Quando riprendo la strada “normale” percorro pochi km in falsopiano o in leggera discesa e rispondo ad una chiamata di mio fratello che si sincera della situazione: passando per alcune località delle quali mi ricordavo bene per essere passato in senso contrario in uno dei miei giri degli anni passati, alle 14.50 arrivo al bivio per la località di Arina, dove parte la diramazione che mi porterà a Roa e successivamente verso Castello Tesino. Il primo tratto di salita è molto ripido tanto da preoccuparmi un po’, poi per fortuna un bel tratto di discesa mi permette di preparami alla lunga e per fortuna costante salita che mi porterà a Roa (8 km e 450 m di dislivello) con in bella vista sull’altro lato della valle la località di san Donato. La salita termina in un punto non segnalato da Alcun cartello e una breve discesa mi porta al bivio con la strada che sale da Castello Tesino verso il passo Brocon, mia prima meta del giorno successivo. Ho prenotato per la noTte in un albergo che è situato circa 2,5 km dopo il bivio e mi devo sorbire altri 200 m di dislivello in salita, consolandomi con il fatto che almeno li risparmierò per il giorno dopo. Appena cominciata la salita vedo un cartello che segnala la chiusura della strada a orari determinati, con delle finestre che permettono il passaggio, la prima delle quali si aprirebbe alle 10.15. Spero tanto il giorno dopo non debba avere problemi e quando dopo un lungo rettilineo intravedo un cartello giallo spero proprio quello che indica il mio albergo: infatti è proprio così, arrivo all’Hotel Kapriol, in località Fradea, quando sono passate da poco le 17, dopo 147 km e 9 ore e 25 minuti di percorrenza effettiva al netto delle soste (il dislivello totale di salita è stato di 2012 m). Una gentile signora, che scoprirò essere poi mamma di sue splendide gemelline di 8/9 mesi, mi accoglie e mi consegna la tessera magnetica di accesso alla camera, dalla quale posso telefonare a casa per confermare il buon fine della prima tappa. Sono l’unico ospite dell’albergo, evidentemente la stagione estiva non è ancora cominciata.

SECONDA TAPPA- Fra dea di Castello Tesino – Tesero 97 km.

Dopo una buona colazione, mentre sto preparando la bici per la partenza, si avvicina il marito della titolare dell’albergo (il papà delle gemelline che mi sembra uno che non abbia tanta voglia di fare bene…) che chiedendomi quale sia la mia prossima tappa esprime dei dubbi sul fatto che ce la possa effettivamente fare in un giorno solo. Non gli rispondo male solo per educazione, ma il fatto mi infastidisce tanto che non rientro a salutare la signora come vorrei e parto subito.

La temperatura, nonostante il cielo si sia rasserenato e splenda il sole è piuttosto bassa: ho indossato la maglia con le maniche corte ma poco dopo mi fermo per indossare un gilet leggero che mi ripara dalla brezza della mattina. Mi aspettano circa 8 km di salita con una pendenza media del 7% per arrivare alla fine della salita, e nelle parti in ombra soffro un po’ il freddo, anche se mano a mano che salgo lo sforzo mi fa superare questa difficoltà. La salita è molto costante e salendo si cominciano a notare delle belle vedute sul paese di Castello Tesino dal quale mi sto alzando: quando sono a circa tre quarti della salita, squilla il telefonino: è un SMS di Lorenza, titolare dell’albergo Al Cervo di Tesero che mi augura buon viaggio e mi dice di aspettarmi per cena: evidentemente ha più fiducia del tipo che mi ha salutato alla partenza.

Dopo circa un’ora e trenta minuti dalla partenza raggiungo una costruzione (casa Saronese) che segna la fine della salita, anche se per arrivare al passo mancano circa quattro km in falsopiano o addirittura in leggera discesa. Dovrebbe essere un tratto rilassante, ma la temperatura è ancora troppo bassa per potermelo godere appieno: attraverso una zona di impianti di risalita e in un quarto d’ora raggiungo il cartello del passo, dove scatto un paio di foto che non riescono particolarmente bene perché il mio sudore e la temperatura esterna hanno causato un po’ di condensa all’obbiettivo.

Mi vesto bene ed affronto la lunga discesa che mi poterà a canal San Bovo, paese principale della Valle del Vanoi. Dopo circa otto km si avverano le mie preoccupazioni della sera prima circa la chiusura della strada: la stanno asfaltando e non c’è proprio spazio per passare: l’addetto al rullo ha un po’ di compassione e cerca la soluzione, che trova in una stradina che poco più su scende verso una abitazione privata: in fondo si vede una strada sterrata che sembra risalire verso la strada principale. Scendo e passando davanti a due abitazioni private, pronto a chiedere scusa ai proprietari per l’intrusione, raggiungo la strada sterrata a e con sollievo un centinaio di metri più in la’ riprendo la strada principale, pericolo passato. La discesa è molto bella e all’inizio un po’ stretta, si passa accanto a belle borgate prima che la strada si allarghi e punti perso fondovalle: un ponte sul torrente Vanoi segna la fine della discesa. Raggiungo senza difficoltà il paese di Canal San Bovo e mi dirigo verso l’inizio della seconda salita della giornata, il Passo Gobbera, attraverso il quale mi immetterò sulla valle di Primiero, alle pendici del Passo Rolle. La strada non è tanto trafficata in quanto gli automobilisti preferiscono la lunga galleria che parte duecento metri più in giù del bivio per il passo al quale arrivo “lungo”…una inversione di marcia mi porta ad affrontare le prime rampe della salita, che in poco più di cinque km e duecento m. di dislivello mi porterà al paesino di Gobbera, dove il passo non è segnalato da alcun cartello se non da una scritta su un albergo. Ho approfittato di una fontana lungo la salita a poche centinaia di metri dallo scollinamento e sono pronto ad affrontare la bella discesa che mi porterà a Fiera di Primiero attraverso Imer, per cominciare poi la lunga salita al Passo Rolle.

Poco dopo Mezzano mi immetto sulla ciclabile che mi permette di evitare per un po’ una strada particolarmente trafficata e di trovare un posto tranquillo per mangiare il panino che mi era avanzato dal giorno prima. Mancano venti minuti a mezzogiorno e sono in perfetto orario con la tabella di marcia. Dopo un quarto d’ora di pausa, e qualche imprecazione per i soliti lavori che mi fanno percorrere un centinaio di metri su strada particolarmente dissestata, entro a Fiera di Primiero, e alla fine del lungo rettilineo che attraversa i paesi di Tonadico e Siror, affronto le prime rampe del passo Rolle quando sono circa le 12.15.

Il Rolle è una salita molto costante, anche se molto lunga (23 km circa, con 1300 m. di dislivello) e riesco a salire con una buona velocità (per le mie aspettative) che mi permette di stare sempre in leggero anticipo sui tempi che mi sono prefisso il che mi consente di fermarmi ogni tanto per rifocillarmi e cambiare la borraccia dell’acqua. Dopo circa 10 km di salita (percorsi in un ora e 40 minuti) entro a San Martino di Castrozza, dove trovo anche rampr di una certa pendenza: l’attraversamento del paese è un po’ fastidioso, ma mi fa trovare una fontana che mi permette di fare il pieno in vista degli ultimi nove kilometri di salita. Nei primi km di questo ultimo tratto ci sono più tornanti che nella prima parte della salita, che mi permettono di rifiatare e riprendere velocità: i tornanti più impegnativi, che si cominciano a vedere da molto in basso, si trovano praticamente alla fine della salita che corre sempre a fianco delle Pale di San Martino la cui cima principale, il Cimon della Pala, è come al solito coperto da nubi. In uno degli ultimi tornanti, approfittando del fatto che sono in clamoroso anticipo sui tempi previsti di percorrenza, provo a scattare una foto “in corsa” ma l’esperimento fallisce. Mi rifarò poco dopo al cartello che segna il Passo che si raggiunge dopo un tratto più facile di circa un km. Dopo poco più di tre ore e mezza raggiungo l’ultima cima della giornata, e sono molto soddisfatto della mia “impresa” che pensavo di compiere in almeno mezzora in più. Alle quindici e cinquanta, dopo essermi ben vestito, comincio la lunga discesa verso Predazzo e la Val di Fiemme: la strada che devo percorrere la conosco molto bene scorro veloce lungo le località di Forte Buso, Paneveggio e Bellamente, poco dopo la quale trovo l’ennesimo cantiere: con la bici riesco a saltare tutte le decine di macchine in fila ed entro finalmente a Predazzo alle 16.35. Un ultimo sforzo per superare il tratto che dopo ziano ed in leggera salita raggiunge prima Panchià e poi Tesero e concludo il mio sforzo arrivando alla stessa ora del giorno prima, dopo 97 km e 2480 m di dislivello in salita in circa otto ore e mezza di percorrenza netta. Adesso per due giorni posso riposare prima di affrontare la terza tappa, che si rivelerà essere la più impegnativa di tutto il giro.

TERZA TAPPA: TESERO- DOBBIACO 130 KM 2990 M DI DISLIVELLO IN SALITA

Dopo due giorni di “riposo attivo” in Val di Fiemme, dove mi sono dedicato a piccole escursioni a piedi, una per andare a Stava a trovare Anna e Walter i titolari dell’Hotel Erica ed una sulle pendici del Lagorai dove come al solito sono riuscito a smarrire il sentiero ed avventurarmi tra i rovi per ritrovare la strada per il fondovalle, venerdì 25 giugno alle 8.10 lascio l’Albergo al Cervo salutando la titolare Lorenza e mi invio ancora verso Predazzo dove però invece che seguire la strada che porta al Passo Rolle, seguirò la statale che mi porterà in Val di Fassa per affrontare la prima salita della giornata, il Passo Pordoi.

Evito di seguire la pista ciclabile (il solo pezzo che percorro mi fa uscire da predazzo in un tratto sterrato ed abbastanza rovinato) perché non sono sicuro di quello che troverò da Moena in avanti.

Dopo avere superato la zona dei trampolini di Predazzo mi avvio appunto verso Moena il cui attraversamento è facilitato dal fatto che il grosso del traffico è ormai dirottato su una circonvallazione che permette di evitare di passare per il centro. Un ora e dieci minuti dopo la partenza esco da Moena e subito prima di Soraga trovo il primo cantiere della giornata che mi fa perdere almeno cinque minuti a causa di un semaforo che impedisce il passaggio anche alle bici. Un po’ innervosito proseguo abbastanza tranquillamente (anche se in costante salita la strada presenta alcuni saliscendi che danno modo di recuperare forze e velocità) e in poco meno di due ore e mezza arrivo alla rotonda di Canazei che rappresenta la partenza per alcune tra le più famose salite delle Dolomiti, Sella, Fedaia e appunto Pordoi, che è quella che devo affrontare io.

Dopo essermi abbondantemente rifocillato, comincio il primo tratto di strada tutto sommato non difficilissimo che è in comune con la strada che porta al Passo Sella: affronto così i primi tornanti (alla fine saranno 27) soffrendo più per il traffico (di moto soprattutto) ma godendo anche per il transito di tanti ciclisti, che incrocio in continuazione. In cinquantuno minuti copro il sei km che portano al bivio per il Passo Sella e approfitto per scattare alcune foto con l’autoscatto facendo sorridere alcuni “colleghi” ciclisti che mi vedono indaffarato con il cavalletto. Sono in linea con i programmi orari e la cosa mi rinfranca, anche perché sento di non fare troppa fatica: arrivo ad panoramico tornante e scatto ancora alcune foto e mi appresto ad affrontare gli ultimi otto tornanti che mi porteranno ai 2239 metri del passo Pordoi. Che raggiungo, come da programma, alle 12.30. Le foto al passo sono di rito, anche se devo rinunciare a quella davanti al monumento a Coppi in quanto la zona è particolarmente affollata. Me la prendo con la calma, mangio qualcosa e mi vesto bene per affrontare la spettacolare discesa verso Arabba, praticamente tutta a vista. Verso gli ultimi tornanti (da questa parte sono 33) devo fare i conti con un autobus turistico che procede a passo d’uomo e che non riesco a sorpassare vista la brevità dei rettilinei tra tornante e tornante.

Alle 13 arrivo al bivio per il passo Campolongo e decido di fermarmi a mangiare qualcosa in una pizzeria ristorante che conosco bene: una pasta, una bibita ed un caffè serviti abbastanza velocemente mi permettono di fare rifornimento di energia e ripartire verso la seconda salita della giornata in meno di mezz’ora. Il passo Campolongo non è difficilissimo e non è particolarmente lungo, ma è comunque abbastanza impegnativo soprattutto perché lo affronto forse troppo presto rispetto al pranzo che ho appena consumato. Un lungo rettilineo al sole che offre una splendida veduta su Arabba e sui tornanti del Pordoi ma mi fa soffrire un po’. Poco dopo vengo affiancato da un altro cicloturista con il quale affronto le ultime rampe verso il passo, dove ambedue ci fermiamo per scattare una foto: io riparto subito e poco dopo sono sui tornanti del passo dal versante di Corvara, molto spettacolari. Attraverso velocemente Corvara e alle 14.15 comincio a scendere per la Val Badia per un tratto di prevalente discesa che in circa 24 km mi porterà al bivio per San Vigilio di Marebbe. Attraverso i pittoreschi paesi della valle con una certa velocità (arriverò al bivio in poco meno di un’ora) e arrivando al bivio che in tedesco si chiama “zwischenwasser” (tra le acque) mi aspetto di trovare qualche fontana per fare rifornimento d’acqua che comincia a scarseggiare. Non trovo niente e comincio a preoccuparmi perché il caldo comincia a farsi sentire e sto per affrontare quella che sarà la salita più difficile di tutto l’itinerario, il Passo Furcia, sul quale si è svolta una cronoscalata nell’ultima edizione del Giro d’Italia. La strada che porta al centro di San Vigilio di Marebbe non è così semplice come sembrava sulla carta e perdo un po’ di concentrazione cercando una fontana che ancora non trovo. Nemmeno nella zona di partenza degli impianti sciistici per il Plan de Corones trovo niente, nemmeno un locale aperto e decido di continuare sperando di trovare qualcosa più avanti. La strada si fa un po’ più semplice verso la località di Pieve di Marebbe, ma quando sto pensando di attraversare il paese trovo il bivio con le indicazioni per il passo. La strada si impenna subito quasi al 10% e un successivo breve falsopiano è solo il preludio a quattro difficilissimi tornanti: mi sorprendo del fatto che non faccio eccessiva fatica (certo non sto passeggiando) e quando sto per affrontare l’ultimo tornante chiedo ad una signora che sta rastrellando fieno se ci sia una fontana lì vicino: gentilissima mi rassicura e mi da inidicazioni molto precise, visto che troverò la fontana esattamente dopo un km come aveva detto la signora. L’apparizione dell’acqua mi pare un miracolo ed esagero forse con il bere, tanto che 500 metri dopo sarò costretto a fermarmi per rimettere l’acqua che evidentemente ho bevuto in eccesso: per fortuna mi riprendo subito e affronto gli ultimi 2 km in compagnia di altri ciclisti che fanno fatica come me. Dopo avere passato un sottopassaggio con manifesti che ricordano passate edizioni del Giro d’Italia che è passato da qui, dopo un breve falsopiano ed un’altra rampa arrivo al cartello del passo Furcia, 1789 m, dopo 102 km alle 17.05. Mi vesto subito e mi preparo per la discesa, che nei primi km è piuttosto stretta e con la strada piuttosto dissestata: il traffico è molto scarso per cui posso zigzagare tranquillamente per evitare le molte buche sull’asfalto. La strada aumenta la sua pendenza man mano che mi avvicino alla val Pusteria, che si comincia a intravedere a nord. Splendida in particolare la veduta sulla valle di Anterselva, che parte da Valdaora, il paese che devo raggiungere alla fine della discesa. Mentre sto per entrare in paese trovo un’ennesima deviazione, ma preferisco tirare dritto, in fondo eventuali cantieri dovrebbero essere chiusi visto che sono circa le 17.30. Invece l’interruzione è dovuta allo svolgimento di un festival corale che si tiene all’aperto nel parco del paese sotto una magnifica struttura in legno: si sta esibendo un coro femminile e vedo che ad attendere il loro turno ci sono altri cori, uno dei quali con la maglia rossa e lo stemma della Polonia. Scatto una foto e parto alla ricerca dell’imbocco della pista ciclabile che mi deve portare a Dobbiaco: le segnalazioni sono piuttosto precise e raggiungo la pista che costeggia un lago artificiale trovando però la sorpresa di un fondo sterrato: con il peso delle borse sulla bici devo fare attenzione a dove metto le ruote: percorro circa cinque km e quando mi rendo conto di essere arrivato a Monguelfo decido di tornare sulla strada provinciale: evito i tratti interdetti alle biciclette delle nuove circonvallazioni passando per il centro di Monguelfo e Villabassa, dove trovo ancora la strada chiusa per il festival: sul palco si sta esibendo un coro con un base musicale di accompagnamento assordante, stanno cantando canzonette ed invitano perfino la gente a fare il ternino…cantare in un coro per me è un’altra cosa…vorrei scendere dalla bici e dare loro qualcosa in testa, ma preferisco continuare. Poco prima di Dobbiaco decido di seguire ancora la ciclabile, che stavolta è asfaltata però con molti dossi e strappetti in salita: nell’attraversamento di un ponte rivestito di tavole sento un rumore metallico ma non mi rendo conto di quello che è successo: me ne accorgerò all’arrivo quando noterò che mi è caduto il mini cavalletto che tanto utile mi era stato in tante occasione durante i miei viaggi in bici.

Allo scoccare dei 130 km totali percorsi in circa 9 ore e 15 minuti fermo la bici davanti all’ingresso dell’Hotel Nocker, mia meta solita quando mi fermo a Dobbiaco per le gare di granfondo sugli sci. In un primo momento la titolare non mi riconosce, poi appena prima di cena scambieremo due parole e dimostrerà di ricordarsi di me. Posso salire in camera e riposare un po’ prima di cena. Poi una delle solite partire dei mondiali che mi hanno accompagnato lungo tutto il viaggio mi permetterà di prendere sonno più facilmente per prepararmi all’ultima tappa, quella del ritorno a casa.

QUARTA TAPPA DOBBIACO GRADISCA 150 KM

Sono appena passate le otto quando lascio l’albergo Nocker e mi avvio verso la pista ciclabile che mi condurrà verso San Candido per affrontare la prima e unica vera salita prevista per la tappa che segna il mio ritorno a casa, il Passo Monte Croce Comelico. Subito devo affrontare una piccola difficoltà rappresentata da un tratto in sterrato che costeggia la centrale per il riscaldamento centralizzato dell’intero paese di Dobbiaco, poi mi immett sulla strada statale e attraverso San Candido senza problemi e non sento nemmeno troppo la temperatura che comunaue è piuttosto bassa per la stagione. Il tratto che va da San Candido a Moso attraversando Sesto in Pusteria è un tratto relativamente facile, riconosco tra gli alberi la strada forestale che d’inverno viene trasformata in pista da sci di fondo e posso scattare anche qualche foto ai gruppi montuosi che formano la “meridiana” di sesto, una specie di segnatempo naturale, nel senso che le cime sono numerate a seconda delle ore nelle quali il sole le tocca.

Il tratto più impegnativo della salita comincia appena fuori Moso che raggiungo dopo poco più di un’ora e circa 14 km. Un lungo rettilineo precede due ripidi tornanti che sono costeggiati da una pista naturale di slittino, subito dopo la salita spiana e diventa assolutamente tranquilla e piacevole: quando raggiungo il “caravan park” di Sesto (un campeggio) so di avercela quasi fatta: dopo 40 minuti e sei km raggiungo il passo e qui comincio a provare le difficoltà date dallo smarrimento del cavalletto, infatti non riesco a scattare una foto decente.

Mi aspetta ora una lunga discesa, inframezzata da qualche tratto in controtendenza, per mi porterà fino a Santo Stefano di Cadore, dove ho intenzione di fermarmi per cercare un posto dove fare rifornimento per il pranzo. Attraverso anche Padola di Complico, dove ho disputato in inverno la prima gara di sci della stagione 2010. Arrivo al bivio per Sappada dopo 40 minuti di discesa e trovo un piccolo negozio di alimentari. Un’altra successiva sosta per il rifornimento d’acqua e mi avvio verso Sappada, attraversando piccoli paesi tra i quali San Pietro di cadore, paese natale di Maurilio De Zolt grande campione di sci di fondo. La salita verso Sappada comincia dopo il bivio per la Val Visdende e dopo una lunga galleria interessata da lavori. Il povero Angelo Cesaratto me l’aveva descritta come impegnativa ma forse l’aveva affrontata senza allenamento: non è una passeggiata ma mi consente una andatura tranquilla, tanto che mi fermo anche a scattare delle foto all’orrido dell’ Acquatona, una forra scavata dal fiume Piave che nasce proprio sopra Sappada. Entro in paese poco prima di mezzogiorno e lo attraverso in tutta la sua lunghezza fino ad arrivare all’ultima rampa, la più impegnativa, che conduce a Cima Sappada, l’ultima “asperità” del mio viaggio. Perdo un po’ di tempo per scattare la foto di rito e mi avvio verso la ripidissima discesa che segna il rientro in Friuli: passo davanti alle piste di Biathlon di Piani di Luzza e decido di fermarmi per mangiare in una panchina dalla quale di vede benissimo la colonia che ho frequentato da bambino.

Dopo venti minuti riparto (sono le 12.40) e avviso casa che mancandomi ancora circa 90 km non arriverò prima delle 6/7.

Attraverso velocemente Forni Avoltri e la lunga nuova galleria verso Rigolato che non mi crea problemi e resto un po’ sorpreso da alcuni tratti in leggera salita che precedono il paese. Dopo Rigolato la strada prosegue veloce verso Comeglians e Ovaro, dove una salita di circa 1 km precede l’ingresso in paese. La strada fino a casa presenterà d’ora in avanti lunghi saliscendi, che affronto con decisione. Raggiungo così Villa Santina dopo 90 km corsi in circa 5 ore e 50 minuti, pause comprese. Il tratto più stressante è quello che devo compiere per arrivare a Tolmezzo, una specie di superstrada molto trafficata: per fortuna la prima rotonda che incontro mi permette di entraresubito in paese e di trovare la strada per Cavazzo carnico che mi permetterà di raggiungere il lago di cavazzo e scendere poi in pianura. Anche qui i saliscendi sono piuttosto impegnativi ma sono sicuro che alla fine del punto più difficile troverò il premio, una fontana d’acqua fresca, nella quale faccio l’ultimo, copioso rifornimento del viaggio.

Poco dopo le quindici oltrepasso il lago e mi avviso attraverso Avasinis per arggiungere Peonis, poco dopo la quale si trova il monumento a Bottecchia dove scatto l’ultima foto del viaggio. Da lì a casa mancano trenta kilometri attraverso Cornino, Cimano e San Daniele. Incontro le ultime difficoltà dopo Muris di Ragogna, ma raggiunto il centro del Comune in località San Pietro avrò finito i tratti impegnativi. Attraverso Aoenedis raggiungo Villanova di san Daniele quando mancano poco più di dieci kilometri. Alle cinque in punto attraverso il Ponte di Dignano e dopo dieci minuti sono a casa, in abbondante anticipo sul previsto.

Sono particolarmente soddisfatto: ho avuto la conferma che con una adeguata preparazione anche questo tipo di avventure si possono affrontare con relativa tranquillità: ho percorso circa 520 km complessivi, ho scalato nuove salite, visto posti nuovi, posso essere veramente soddisfatto.

ciclotour 2010ultima modifica: 2011-03-13T11:37:54+01:00da maxpres8
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