vasaloppet 2006

Sicuramente a chi non è un appassionato sportivo e in particolare dello sci di fondo il nome “Vasaloppet” non dice niente; basta però avvicinarsi a questo magnifico sport e cominciare a respirare l’atmosfera delle gare popolari per capire che la “Vasa” è la gara per eccellenza, la manifestazione che rappresenta per il fondista ciò che la Mecca rappresenta per i Mussulmani: un appuntamento irrinunciabile almeno una volta nella vita.

Certo che dopo avere compiuti i primi, incerti passi sugli sci sulle piste di Claut nel lontano 1985 mai avrei mai pensato che un giorno sarei riuscito a partecipare, portandola a termine, la più massacrante gara del mondo, 90 kilometri nel mezzo dei boschi della Svezia settentrionale per ricordare un episodio storico fondamentale nella storia svedese assieme ad altri 15.000 partecipanti.

Dicevo che la mia storia sugli sci cominciò nel febbraio del 1985: avevo appena visto in televisione uno splendido servizio sulla “Marcialonga”, una gara ideata da quattro trentini che dopo avere partecipato proprio alla Vasaloppet erano riusciti ad organizzare a partire dal 1971 una gara simile nelle valli di Fiemme e di Fassa, con la differenza che era un po’ più corta, “solo” 70 kilometri.

Vedendo sciare in tv quelli che arrancavano nelle ultime posizioni e che proprio per il loro stile non proprio elegantissimo vennero chiamati “bisonti”, mi dissi che se ce la facevano loro ce l’avrei fatta anch’io.

Come era ampiamente prevedibile le cose non furono però così semplici: i materiali che avevo a disposizione non erano certo da competizione e la mia tecnica lasciava piuttosto a desiderare soprattutto nello stile che stava prendendo sempre più piede all’epoca che era il passo di pattinaggio, che vedeva simulati sugli sci i movimenti di un pattinatore su ghiaccio: questo stile stava soppiantando lo stile “classico” (che prevede di sciare con gli sci paralleli dentro binari appositamente battuti) perché permetteva andature più veloci e non richiedeva una particolare preparazione degli sci.

La “svolta” avvenne nel 1999, dopo che avevo partecipato ad alcune gare riservate ai bancari quando decisi di iscrivermi per la prima volta alla Marcialonga: la prima partecipazione fu un odissea, settanta kilometri non li avevo mai fatti tutti in una volta e le condizioni del tempo (meno 21 gradi alla partenza) non favorivano la scorrevolezza della neve. Terminai la gara in otto ore e quaranta minuti, arrivai col buio ma la soddisfazione fu enorme.

A quella partecipazione ne seguirono altre tre corse con la tecnica di pattinaggio e piano piano riuscii a limare quasi due ore al tempo occorrente per terminare la gara. Nel 2003 la Marcialonga vedeva l’effettuazione della sua 30.ma edizione e per celebrare l’avvenimento l’organizzazione decise che tutti gli sciatori sarebbero dovuti tornare alla tecnica “classica”, quella dentro i binari.

Questo comportò la necessità di acquistare un nuovo paio di sci e di imparare la tecnica della sciolinatura, che è quell’operazione che consiste nello spalmare nella parte dello sci sotto il piede una sostanza (la cosiddetta sciolina di tenuta) che permette allo sciatore di non scivolare indietro nelle salite e di avere un punto di appoggio per iniziare lo slancio dello sci in avanti.

Me la cavai discretamente e nel 2005 con questa tecnica riuscii a finire la gara in sei ore e mezza: da qui cominciai a pensare che la Vasaloppet non sarebbe stata un impresa proprio impossibile tanto più che disputandosi la prima domenica di marzo avrei avuto nelle gambe la Marcialonga che invece si svolge l’ultima domenica di gennaio. Purtroppo però una fastidiosa bronchite e una forma di gastrite che mi aveva impedito di mangiare nel modo dovuto nei giorni precedenti causarono il mio primo ritiro alla Marcialonga 2006 dopo 25 kilometri: ora l’avventura in terra svedese rappresentava una totale incognita ma mi ero già iscritto da tempo (le iscrizioni sono a numero chiuso) e avevo già pagato il viaggio per cui non potevo più tirarmi indietro.

Così il 2 marzo di quest’anno è cominciata da Milano Malpensa l’avventura Vasaloppet 2006: dopo l’arrivo all’aeroporto di Stoccolma e oltre quattro ore di autobus con la comitiva della quale facevo parte organizzata dalla agenzia specializzata “Terramia” di Ferrara sono arrivato a Mora, la città dove si conclude la gran fondo svedese. I primi due giorni (venerdì e sabato) sono passati con un sopralluogo agli ultimi kilometri di gara, una visita alla grande fiera dello sciatore con stand pieni di ogni ben di Dio (sciisticamente parlando) al museo della gara (corsa per la prima volta da cento sciatori nel 1922) e nell’attesa della gara di Coppa del Mondo riservata alle donne disputatasi sabato mattina.

Il sabato sera abbiamo fatto il pieno di carboidrati con un self-service di pastasciutta cotta purtroppo dagli svedesi dell’albergo, ma ci siamo dovuti accontentare viste le specialità locali che ci avevano offerto le cene delle serate precedenti.

La sveglia il giorno della gara è alle tre del mattino, l’autobus che dovrà raggiungere la partenza (nella località di Sälen, a 90 km da Mora) deve partire alle 4.30 per farci arrivare in tempo alla partenza prevista per le otto. Dopo che il tempo nei due giorni precedenti era stato sufficientemente clemente, la mattina della gara ci accoglie con un vento fortissimo, una fitta nevicata e quindici gradi sotto zero. Quando saliamo in autobus dopo una abbondante colazione l’autista ci chiede perché diavolo non siamo rimasti a letto…

Il tempo non migliora e causa un incredibile ingorgo che rischia di non farci arrivare in tempo per la partenza ma ce la facciamo per un pelo. Io che sono alla prima esperienza dovrei partire in teoria nell’ultimo dei dieci gruppi in cui è diviso il plotone dei 15.000 coraggiosi ma incredibilmente grazie ai miei risultati alla Marcialonga mi è concesso di partire nel sesto gruppo.

La confusione è tale che nemmeno si sente il colpo di cannone che da inizio alla gara. Mi muovo quando si muovono gli altri, continua a nevicare e il vento è ancora molto forte. La partenza avviene in un vasta radura che contiene tranquillamente tutti i quindicimila ma dopo poche centinaia di metri la pista si restringe di colpo e ci mettiamo quasi un’ora a completare i primi tre kilometri (tutti in salita). Poi per fortuna la pista si allarga e si può cominciare a spingere un po’ di più. Il primo ristoro si trova dopo circa dieci kilometri e posso finalmente assaggiare la tipica zuppa di mirtilli, caratteristica bevanda svedese che è praticamente una marmellata diluita con l’acqua calda. Non mancano naturalmente le bibite energetiche e faccio il pieno. Mi sento benissimo ma dopo circa venti kilometri l’effetto della zuppa si fa sentire e comincio ad avere un po’ di mal di pancia. Potrei fermarmi al successivo ristoro ma andare in bagno sarebbe una operazione un po’ complessa perché mi dovrei togliere il pettorale, un giubbino impermeabile, la giacca della tuta e la salopette…decido di resistere e lo farò, combattendo contro il mio intestino fino all’arrivo.

I ristori si susseguono regolari circa ogni dieci kilometri e si trovano tutti in cima a delle salite lunghe e faticose: la pista è perennemente occupata per tutta la sua larghezza (anche otto corsie, a volte) e in salita ogni tanto si formano degli ingorghi. In discesa quel traffico crea qualche problema visto anche che gli svedesi (naturalmente la maggioranza) non sembrano essere a loro agio tecnicamente.

Il tracciato di gara, a differenza della Marcialonga, non attraversa paesi o città ma solo boschi, radure, laghi ghiacciati e a volte sembra un po’ monotono e non da segni di riferimento.

Arrivo a metà gara in circa 4 ore e mezza, sono in tabella di marcia e al 54.mo kilometro trovo il ristoro organizzato dalla agenzia che ha curato il viaggio.

La stanchezza comincia a farsi sentire e anche un po’ un dolorino al ginocchio destro: gli sci non corrono come potrebbero (la neve è fresca e lenta, la temperatura è intorno ai dieci gradi sotto zero) e anche nei tratti piani o in leggera discesa devo spingere.

Comincio a perdere progressivamente posizioni ma non mi importa, voglio solo arrivare alla fine.

Gli svedesi sono organizzatissimi: tutti i gruppi sportivi hanno preparato ristori per i loro atleti spostandosi nei boschi con le motoslitte, che sono il mezzo ideale per muoversi qui. I pochi spettatori che si incontrano per strada sono quasi tutti distesi nei loro mezzi meccanici, molti intorno ad un fuoco con una bottiglia in mano che non è sicuramente zuppa di mirtilli.

Io approfitto solo ad un ristoro dove una biondissima bambina mi offre birra calda (??!!). Ci sono anche gli immancabili alpini che si offrono per rifocillarmi ma rinuncio, ormai manca poco. Guardando la cartina con la planimetria della gara la gara potrebbe sembrare quasi tutta in discesa ma i tratti in salita sono moltissimi anche negli ultimi kilometri. Sta scendendo il buio quando in lontananza si comincia ad intravedere il campanile di Mora e comincio a capire di essere quasi arrivato.

Sono da poco passate le sei di sera quando comincio l’ultimo kilometro, sono talmente stanco che nemmeno riesco ad emozionarmi quando taglio il traguardo dopo dieci ore e ventitre minuti. Forse riuscirò a rendermi conto della mia personale “impresa” solo domani, ora conta solo recuperare gli indumenti asciutti che ho lasciato alla partenza e che ritrovo subito dopo l’arrivo: i 500 metri che mi dividono dall’albergo sembrano infiniti ma finalmente riesco a salire in camera: ce l’ho fatta.

L’indomani dopo una lunga dormita mi alzo e mi sento quasi fresco: forse perché fuori è spuntato il sole e la temperatura è di 25 gradi sotto zero.

Durante il viaggio di ritorno verso Stoccolma in autobus il responsabile del viaggio ci consegna i diplomi che attestano la nostra impresa e che ha provveduto a ritirare presso l’organizzazione. Una bella soddisfazione, ho coronato il mio sogno: non so se ripeterò in futuro l’esperienza, ma intanto il ricordo di questi splendidi giorni mi accompagnerà a lungo.

 

 

 

 

vasaloppet 2006ultima modifica: 2011-02-11T18:55:00+01:00da maxpres8
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