CICLOTOUR 2004

CICLO TOUR 2004

 

A dire il vero non ero così convinto di ripetere l’esperienza degli ultimi tre anni nel partire da casa con la bici per raggiungere Tesero, in Val di Fiemme, anche perché mai come quest’anno non avevo avuto il tempo di allenarmi come avrei dovuto e non avevo intenzione di ripetere l’esperienza del primo anno quando alla seconda tappa sulle salite del Falzarego e del Passo Pordoi avevo avuto delle vere e proprie crisi mistiche dettate dalla stanchezza. Poi la voglia di staccare dalla quotidianità e dai casini mi ha fatto decidere di partire, visto che comunque un’idea di tragitto me l’ero già fatta. L’unico problema è stata la chiusura per ferie fino al 20/6 del mio albergo preferito a Tesero, l’albergo al Cervo, che mi ha fatto rinviare di una settimana l’impegno.

 

Lunedì 21 giugno

Prima tappa Gradisca-Borca di Cadore 134 km

 

Dopo avere dormito poco ed essermi svegliato naturalmente presto, lunedì mattina quando sono circa le sette inforco la bicicletta già pronta da due giorni e parto per la nuova avventura. Il tempo, dopo i temporali e le piogge incessanti dei due giorni precedenti sembra essersi sistemato, anche se la temperatura non è proprio da giugno inoltrato.

I primi metri già mettono in evidenza un problema alla bici che avevo già notato ma che speravo avere risolto cambiando i pedali: un fastidioso rumore che evidentemente proviene dal movimento centrale che essendo sigillato in una specie di conchiglia non è smontabile ed ingrassabile. Non è comunque una cosa grave che possa pregiudicare il viaggio e proseguo, anche se un po’ nervoso.

La media risente subito del peso delle borse attaccate al porta-pacchi: cerco sempre di mettere dentro il minimo indispensabile ma sembrano pesare sempre troppo.

Fino all’uscita di Spilimbergo il traffico non da gran fastidio, poi verso Valeriano e sulle salite per Pinzano il traffico di camion per il trasporto della ghiaia si fa via via sempre più insopportabile e mi allontano un attimo dal casino con la deviazione per la località di Pontaiba, dove trovo Valentino Chieu che nel suo magazzino di bibite sta già scaricando da un camion. Era restata famosa la sua domanda di tre anni prima quando vedendomi arrivare mi chiese: “’do vatu?” ed io “a Cortina” e lui “e par là a Cortina tu passis par la Pontaiba?”…

In effetti pare un po’ strano ma la deviazione mi permette di evitare un paio di salite. Lui non mi ripete la stessa domanda ma dice al camionista dove sono diretto e qui scatta la “minaccia” del camionista: “e se buchi come fai?” io faccio gli scongiuri e lo rassicuro sul fatto che mi sia portato dietro l’attrezzatura.

Valentino è troppo impegnato così lo saluto e riparto in direzione di Anduins e San Francesco. Come al solito dopo le gallerie di Anduins il vento tira contro ma non ho particolari problemi ad arrivare ai piedi della salita che porta a Sella Chianzutan. L’inizio della salita non è durissimo e all’altezza del confine tra la provincia di Pordenone e di Udine capisco il motivo del traffico di camion: sono in corso lavori di sbancamento su un torrente che minaccia la strada e mi rassereno: vorrà dire che il traffico si alleggerirà.

In ogni caso, visto che dopo due chilometri c’è il bivio per Sella Chiampon e la Val di Preone, e quindi mi stacco dalla strada principale, per una deviazione che mi permetterà di arrivare a Socchieve risparmiando una ventina di chilometri.

A Sella Chiampon, splendido e nascosto posto del medio Friuli scatto alcune foto e poi mi butto (si fa per dire) sulla ripida e strettissima discesa (pendenze del 20%) che porta a Preone. In un tornante sento arrivare alcune moto e mi distraggo, salgo con la ruota posteriore su una pietra piuttosto grossa e…si materializza la maledizione del camionista e buco la gomma. La strada è talmente stretta che devo far passare le moto per poter scendere, togliere le borse e cambiare la camera d’aria. Un quarto d’ora perso e via verso la fine della discesa facendo molta più attenzione alle condizioni del terreno.

Ormai conosco la strada e quindi la salita che da Socchieve porta ad Ampezzo non mi sorprende, così come non mi trova impreparato l’ascesa a Cima Corso dove approfitto per mangiare qualcosa e scattare una foto al cartello che, stranamente, porta due indicazioni di altitudine.

Passo relativamente velocemente per Forni di Sotto ed il poco rassicurante “Passo della Morte” e faccio un po’ fatica per arrivare a Forni di Sopra ed ai piedi della salita che porta al Passo della Mauria. Mi accorgo che sto finendo la scorta d’acqua e mi preoccupo di cercare una fonte. La trovo proprio ai piedi della salita, alla partenza della funivia del Varmost, e qui c’è l’episodio più comico di tutto il viaggio. Non mi ricordo di avere cambiato pedali, passando da quelli classici a “gabbietta” a quelli col sistema di fissaggio a scatto, per cui tiro ma il piede non si stacca dal pedale. Per fortuna sono fermo e la caduta non ha conseguenze fisiche. Il problema è che cado proprio nell’unica pozza di fango nel giro di cinquecento metri e quindi mi “smerdo” letteralmente i pantaloncini che perdo tempo a cercare di pulire con dei fazzoletti di carta. Altro quarto d’ora perso ma l’episodio mi mette comunque, nonostante tutto, di buon umore.

La salita al Passo della Mauria è impegnativa ma non durissima, sono circa nove kilometri e dopo qualche kilometro si trovano sulla sinistra le sorgenti del Tagliamento. Vorrei scattare una foto ma non direbbe granchè e quindi proseguo verso la cima.

Qui, sotto il cartello che indica il passo la foto è obbligatoria: sono abbastanza presto e mi preparo per la discesa durante la quale sono sorpreso da un aquazzone. Non trovo un posto per ripararmi e quando ormai sono quasi a Lorenzago di Cadore la pioggia cessa e quindi posso proseguire senza difficoltà. Purtroppo non posso percorrere la strada interna al lago di Pieve di Cadore perché il ponte che la collegava a Pieve è crollato e devo quindi proseguire per la statale che tra traffico e alcune salitelle con pendenza discreta si rivela piuttosto impegnativa. Intanto è uscito il sole e arrivo a tai di Cadore dove, dopo, avere fatto ancora rifornimento d’acqua scatto una foto alla colonia alpina di Nebbiù che avevo frequentato trent’anni fa, ora sommersa da costruzioni e capannoni industriali.

Poco prima di Vodo di cadore, dopo avere incrociato la strada che arriva da Cibiana, mi immetto sulla pista ciclabile che però devo abbandonare poco dopo per mancanza di indicazioni chiare. Oramai sono a pochi kilometri dalla tappa prefissata all’Hotel Antelao che intravedo alla fine di un lungo rettilineo.

Arrivo davanti all’Hotel dopo 134 kilometri e nove ore e un quarto di percorrenza effettiva. Sono quasi le sei e raggiungo la mia stanza con vista sul Pelmo e sul Civetta.

Subito dopo la cena subito a letto: riesco a seguire fino in fondo la partita degli europei di calcio tra Inghilterra e Croazia e poi una bella dormita, domani ci sono i passi più impegnativi.

 

22 giugno 2004 – SECONDA TAPPA

BORCA DI CADORE-TESERO 111 KM.

 

La cosa più difficile da ottenere, oltre che qualcosa di caldo a colazione, è il conto dell’albergo, che mi viene fatto praticamente al telefono, senza rilascio di nessuna ricevuta. Non che la cosa mi interessi poi molto, ma mi fa sorgere dei dubbi sulla gestione che nella mia prima visita, nel 2001, mi era parsa più seria.

Riesco a partire comunque alle otto meno un quarto e, nonostante il tempo non sia dei migliori, mi consola il fatto che almeno non c’è il vento fortissimo di tre anni fa.

La strada per Cortina, larga, con alcuni lunghi rettilinei, in leggera ma costante salita e, purtroppo, molto trafficata, mi crea un po’ di disagio, ma riesco a rispettare i tempi ed arrivare al bivio per il passo Falzarego nei tempi previsti, cioè dopo circa un’ora e un quarto.

Il primo tratto della salita al passo Falzarego è in comune a quella al passo Giau, che è quello che devo affrontare io. Si arriva fino a circa 1500 metri di altitudine (Borca di Cadore, alla partenza, è all’incirca sui 950 metri) alla località di Pocol, dopo aver percorso un lungo tratto panoramico che permette splendide visioni su Cortina e dintorni, ammesso che ci sia bel tempo, cosa che oggi non c’è.

A Pocol raggiungo due “colleghi” tedeschi che mi avevano precedentemente superato e che si sono fermati per rifocillarsi e continuo dritto per il bivio che incontro dopo circa 200 metri.

Dal bivio al passo ci sono circa 12 kilometri, ma i primi due sono in discesa o in falsopiano, cosa ben accetta quando si è stanchi, ma che fa perdere un po’ di quota e non sempre è un vantaggio.

Come sapevo, la salita non è facile e le borse, dietro, non mi facilitano certo l’impegno. In certi tratti, i più duri, a fatica raggiungo i 5 km all’ora. Uscito allo scoperto dopo un primo tratto in mezzo al bosco intravedo la sella del passo, in alcuni punti ancora coperta di neve. Il passo non è ancora visibile, lo sarà solo a circa tre kilometri dalla vetta, ma forse è meglio così. Prima di affrontare gli ultimi tornanti mi fermo per fare una foto e riesco a farne un paio anche in corsa.

Quando arrivo “in vetta”, ai 2233 metri del passo Giau, è circa mezzogiorno e stranamente non fa nemmeno tanto freddo e un tedesco, motociclista, si offre di farmi una foto sotto il cartello stradale che segna il passo. Faccio anche un paio di foto al panorama, ma purtroppo le nuvole impediscono la visione di alcune cime che sarebbero visibili, prima fra tutte la Marmolada. Rinuncio a fermarmi al rifugio perché sembra si debba prendere la prenotazione come al supermercato e affronto la discesa verso Selva di Cadore dove incontro un gruppo di ciclisti in ordine sparso che salgono al passo dal versante più impegnativo. Potrebbero essere gli stessi americani che due anni fa ho incontrato sulla strada per il passo Manghen.

Quando arrivo a Selva di Cadore comincia a piovigginare e siccome dopo qualche centinaio di metri devo affrontare una nuova discesa verso Caprile decido di tener su il giubbotto impermeabile: quando arrivo al bivio per Caprile e giro verso Alleghe non piove più e in leggera discesa arrivo in riva al lago dove decido di fermarmi per il pranzo. E’ circa l’una meno un quarto e questa volta decido di fermarmi a mangiare qualcosa di caldo e sostanzioso prima di affrontare la seconda difficoltà della giornata.

Riparto circa all’una e mezza e ha ripreso a piovigginare: la pioggia si fa più insistente man mano che mi avvicino a Cencenighe Agordino, ma mi consola il fatto che i chilometri da percorrere sono un po’ meno del preventivato e comunque tutti in discesa. A Cencenighe prendo la strada per Falcade ed il passo San Pellegrino e subito affronto la galleria lunga poco più di un chilometro che mi preoccupa un po’, anche perché è tutta in salita. Mi ero informato precedentemente in comune se c’era una strada alternativa ma non avevo avuto risposta positiva. Quando mi sto avvicinando all’uscita, vedo che un ciclista sbuca da una strada laterale: non capisco ma continuo, ormai il “pericolo” è passato.

Il percorso prevede che arrivi fino a Falcade per poi affrontare la prima parte in salita per Falcade Alto, Ponte della Sega, bivio tra passo Valles e passo San Pellegrino e passo Valles. Sono in tutto circa 20 kilometri e quasi 1300 metri di dislivello.

IL tempo è sempre piovigginoso e poco dopo Canale d’Agordo comincia a piovere più insistentemente, tanto da costringermi a trovare riparo in una fermata d’autobus bella spaziosa.

Dopo circa venti minuti la pioggia cala di intensità e decido di ripartire. Fino oltre il passo Valles non mi abbandonerà, anche se l’intensità sarà sempre sopportabile.

La strada sale costantemente e ci sono pochi momenti in cui posso rilassarmi e aumentare un po’ la velocità. Poco prima di Falcade mi raggiunge un romano che mi chiede indicazioni sulla strada per ritornare a Soraga, in val di Fassa: evidentemente ha “scalato” il passo Fedaia da Canazei e ha poi fatto la mia stessa strada passando per Caprile e Alleghe: gli dico che deve salire al Passo San Pellegrino per scendere poi a Moena, ma lo metto in guardia sulle pendenze micidiali nel tratto intermedio della salita al passo (15-18%).

Io continuo con la mia velocità medio-bassa e mi avvicino lentamente al bivio tra i due passi, che rappresenta comunque un traguardo intermedio. Da Falcade la sola visione della chiesetta di Falcade Alto scoraggerebbe chiunque: solo pensare che la meta finale è ben più in alto mi fa tremare un po’ le gambe ma l’idea di mollare non mi passa nemmeno per la testa. Arriverò un po’ più tardi, ma arriverò alla fine della tappa come preventivato.

Non ho mai affrontato la salita al passo Valles in bici e l’averla fatta in macchina non mi aiuta a ricordarla: la pendenza si fa subito sentire e la velocità è quasi da pedone: la strada è bagnata, il tempo è umido e man mano che salgo scende anche la nebbia, che mi impedisce anche di avere dei riferimenti. In circa sette chilometri di salita ci saranno si e no tre tornanti, e i lunghi rettilinei sembrano non finire mai. La temperatura è piuttosto bassa e devo tenere su l’impermeabile anche a causa della leggera pioggia che continua a scendere. Mi fermo a fare rifornimento d’acqua da bere in un posto che in condizioni normali meriterebbe una bella foto (due o tre piccoli chalet con una fontana in mezzo in mezzo ad un prato ben curato) e parto per l’ultimo sforzo.

Mi sto rendendo conto di essere quasi alla fine della salita quando intravedo, tra la nebbia, un residence che mi ricordavo di avere già visto ma gli ultimi tornanti sono ancora lontani e ancora non riesco ad intravederli. Finalmente la nebbia si apre un po’ e quando sono circa le 17.30 arrivo finalmente al passo Valles dove in qualche modo riesco a scattare una foto con l’autoscatto.

La discesa fino Paneveggio è impegnativa solo nel primo tratto, poi costeggia un torrente ed è splendida, anche perché finalmente è spuntato un po’ di sole. Quando sto costeggiando il lago di Fortebraccio mi ricordo di avere un telefonino e lo riaccendo giusto in tempo per ricevere la telefonata di Giovanni Bratti, un amico di San Giorgio, che non sapeva che fossi in viaggio.

Ormai il peggio è passato e la strada è praticamente tutta in discesa: passo via velocemente per Bellamonte e Predazzo e l’ultima difficoltà sono i due chilometri tra Panchià e Tesero in leggera salita che si fa comunque sentire.

Scendo dalla bici per affrontare gli ultimi centro metri che mi separano dall’Albergo al Cervo dove mi accoglie Anna, una delle titolari, che ormai pensava non arrivassi più.

Arrivo dopo 111 kilometri percorsi in circa nove ore, la media più bassa di tutti i tempi, ma oggi ho stabilito il mio record di dislivello, circa 2500 metri complessivi totali di salita. Sono stanco, ma sono arrivato nella mia seconda patria, la Valle di Fiemme, e avrò tutto il tempo per riposare.

 

MERCOLEDI’ 23 GIUGNO – TESERO

 

“RIPOSO” – GIRO DEL LATEMAR IN MOUNTAIN BIKE

 

La sera prima, a cena, ho conosciuto tre amici piemontesi che hanno in programma il giro del gruppo del Latemar accompagnati dal Walter, il cuoco dell’albergo-marito di Anna, e da Giovanni, altra guida di mountain bike che con Walter ha realizzato una splendida guida ai percorsi della val di Fiemme.

Io vorrei riposare e ricordo a Walter che il giro del Latemar l’ho già fatto lo scorso settembre con Giovanni, che non mi sono portato dietro il casco e che non ho la mountain bike.

Walter comunque non ci mette molto a convincermi e così alle 8.30 carichiamo le bici sul furgone dell’albergo e saliamo all’Alpe di Pampeago dove è prevista la partenza e dove ci incontriamo con un altro gruppo di un albergo che farà il giro con noi. L’anno scorso con Giovanni avevo raggiunto la partenza in seggiovia partendo da Predazzo ed era stata un’esperienza completamente diversa.

Quando partiamo la temperatura è ancora piuttosto bassa (siamo sopra i 1800 metri) ed il primo tratto tutto in discesa ci consiglia di coprirci bene.

IO che non sono un temerario in discesa resto buon ultimo e posso così assistere in diretta ad una spettacolare caduta della guida dell’altro gruppo che per fortuna si risolve solo con qualche graffio.

La prima meta è il lago di Carezza che raggiungiamo per un sentiero diverso da quello che avevo fatto l’anno scorso: il lago si presenta con molta più acqua del solito (è alimentato da sorgenti sotterranee e dall’acqua che scende dalla montagna) e quindi la vista è molto più spettacolare.

Dopo le foto di rito, facendo lo slalom tra i turisti che passeggiano sul lungolago, ci dividiamo sulla strada per raggiungere il passo di Costalunga. I più temerari scelgono un itinerario più impegnativo con una lunga salita e una conseguente ripida discesa: Walter decide di accompagnare me e gli altri tre che come me scelgono un percorso più tranquillo (anche se comunque faticoso) per raggiungere il passo, dove ci ricongiungiamo con il resto della compagnia per mangiare qualcosa prima di affrontare la discesa che ci ricondurrà a Moena.

La discesa è velocissima e inframezzata da un passaggio su un ponticello con conseguente ripidissima salita che pochi riescono a fare in bici. Io scendo con calma e riesco a scambiare qualche parola con Walter che è molto attento a controllare che tutto vada bene e che ci siano tutti.

A Moena la discesa finisce in corrispondenza del luogo da dove parte la Marcialonga e fino a Predazzo seguiamo proprio la pista della gara di sci di fondo: Walter si ferma a scattarci qualche foto e me ne scatta una proprio spettacolare in mezzo alle felci.

A Predazzo il gruppo si divide e IO, Walter e i tre piemontesi raggiungiamo Ziano di Fiemme attraverso la pista ciclabile facendo una piccola deviazione per ammirare le spettacolari cascatelle di Roda.

Arriviamo così al centro del fondo di Lago di Tesero dove Anna ha parcheggiato il furgone che ci riporta in albergo, risparmiandoci la dura salita che porta a Tesero.

Sono circa le tre del pomeriggio quando arriviamo in albergo: dopo la doccia ed un breve riposo porto la mia bici in officina per un controllo per quel rumore fastidioso che mi perseguita dalla partenza da Gradisca, ma il meccanico mi rassicura dicendomi che non è un problema importante.

Faccio una visita al vicino supermercato dove prendo qualcosa da mangiare (a mezzogiorno ho mangiato solo una fetta di torta) che consumo in una piazzola di sosta a lato della strada con vista sull’intera vallata e poi torno in albergo a riposare e a decidere cosa fare nell’indomani: arriveranno altri amici dal Piemonte ed è in programma il giro delle malghe di Aldino.

Dopo cena Walter mi fa vedere le foto che riesco a copiare nella scheda della mia macchina digitale che è uguale alla sua. Un bel ricordo.

 

GIOVEDI’ 24 GIUGNO

GIRO DELLE MALGHE DI ALDINO IN MOUNTAIN BIKE

 

Durante la notte sono arrivati alcuni altri piemontesi ed il gruppo è formato ora da una dozzina di persone. L’appuntamento è fissato alle nove meno un quarto: io sono in anticipo e do una mano a Walter a caricare le bici sul furgone che ci porterà a Passo Lavaze’. Aspetto gli altri e quando saliamo in macchina e partiamo mi dimentico di prendere su il giubbotto impermeabile. Me ne accorgo solo quando siamo a metà percorso ed è ormai troppo tardi. Walter mi rassicura dicendomi che me ne presterà uno dei suoi e mi tranquillizza, anche perché il tempo non promette niente di buono. Arriviamo infatti a Passo Lavaze’ (a circa 1800 m.) che fa freddo e troviamo uno dei piemontesi che si è “fatto la gamba” in bici salendo da Tesero al Passo…sono 800 metri di dislivello in circa 12 kilometri con punte del 15% di pendenza, ma lui è magro, non fa fatica.

Il programma prevede di seguire praticamente le piste di sci di fondo del passo Lavaze’, le mie preferite e che conosco benissimo, tanto bene che decido di lasciar fare il percorso intero agli altri e accorciare la strada per aspettarli alla malga del Bel Riposo (Schonrast). Da passo Lavazè alla Malga Ora, giro di boa della pista di sci di fondo più bella del comprensorio, ci mettiamo veramente poco, tagliando per i boschi: dalla malga al bivio dove lascio alla compagnia ci sono circa 5 kilometri, quasi tutti in piano, a 1800 metri di altezza. Al bivio di Capanna Nuova ci dividiamo e io raggiungo la Malga Bel Riposo continuando in leggera discesa prima di affrontare l’ultima salitella, prima della quale incontro diverse mucche sulla strada che sembrano così abituate al passaggio di gente che neanche mi degnano di uno sguardo.

Quando manca poco all’ora di pranzo la compagnia si ricompone alla malga e ci accomodiamo tutti insieme per mangiare qualcosa: il menù presenta tutti piatti molto sostanziosi e io scelgo canederli con il gulasch, mentre altri scelgono un piatto formato da patate saltate, uova e pancetta. C’è chi sceglie il menù vegetariano, ma non sembra così invitante come il mio piatto. Alla fine del pranzo Paolo ed Irene, i due più simpatici del gruppo, ordinano un dolce che ha un aspetto orribile ma un gusto strepitoso: una specie di omelette strapazzata con mele e marmellata di susine. Li aiutiamo a finirla e ci riavviamo per il ritorno a Malga Ora, dalla quale passeremo per raggiungere il Passo Oclini e successivamente la malga Grudin, dove la padrona di casa, madre di sette figli, fa i più buoni “strauben” della zona, a detta di Walter, che è originario proprio di lì. Gli strauben sono un dolce tipico che i trentini chiamano “fortaia” che hanno una preparazione laboriosissima, con un impasto di farina, lievito di birra e ricotta acida che viene fatto fermentare e lievitare. Una parte viene poi prelevata e mescolata con altra farina e ricotta fresche, vengono formate delle trecce che vengono poi fritte e servite con marmellata di fragole o mirtilli. Ne ordiniamo tre, discutiamo con Walter il percorso di ritorno e ripartiamo. Mi riprometto di tornare alla malga sia per gli strauben che per acquistare la cartolina “ufficiale” nella quale sono raffigurati, con sullo sfondo il Corno Bianco, tutti i piccoli figli della titolare (meno l’ultimo, neonato) con uno dei vitellini dell’allevamento con il titolo “La malga Grudin e il suo Team…”

La strada per il ritorno presenta un tratto impegnativo nel bosco che sbuca in un punto panoramico dal quale si può ammirare tutta la Valle di Fiemme: da qui partono il vecchio sentiero e una nuova strada sterrata che portano a valle. Quasi tutti scelgono il sentiero, io scelgo la strada che mi pare più sicura ed infatti una delle ragazze scese per il sentiero cade sbucciandosi gomiti e ginocchi.

Ci ritroviamo appena sopra Daiano e veniamo a sapere che Bruno, lo scalatore, ha dimenticato lo zaino all’ultima sosta e si sorbisce un’altra dose di salita per recuperarlo.

Rientriamo a Tesero attraverso Varena ed alcune stradine interne: riporto la bici di Walter in garage e do un’ultima controllata alla mia, domani si riparte, si torna a casa.

 

VENERDI’ 25 GIUGNO

TERZA TAPPA

TESERO-DOBBIACO 131 KM.

 

Per tutti i giorni precedenti ho cercato di informarmi sulle condizioni del tempo che per la giornata della terza tappa del mio tour non promettevano niente di buono.

Faccio colazione molto presto e alle otto meno un quarto salgo in bici, salutato da Lorenza, l’altra titolare dell’albergo insieme alla sorella Anna.

Il tempo è nuvoloso, fa un po’ freddo e devo indossare il gilet leggero.

Il traffico è sopportabile e passo velocemente per Predazzo, Moena e Soraga e mentre mi avvicino a Pozza di Fassa comincio a preoccuparmi del cielo che si fa sempre più minaccioso: quando sento le prime gocce serie appena passato il bivio per Vigo di Fassa preferisco fermarmi ad aspettare che cessi un po’ la pioggia. Si scatena invece un temporale anche con grandine ma non perdo la fiducia, perché vedo in lontananza che verso Canazei sta schiarendo e si comincia a vedere la punta del Sassolungo dove batte il sole.

La sosta dura venti minuti e quando riparto la strada è naturalmente bagnata: nonostante ci sia in alcuni tratti il sole cade ancora qualche goccia e mi tengo su l’impermeabile in attesa di arrivare a Canazei ed iniziare la salita per il Passo Sella.

A Canazei la prima sorpresa: la strada che scende dal passo è diventata un senso unico, per cui sono costretto a prendere la direzione del Passo Fedaia per poi fare una inversione di 180 gradi ad una nuova rotonda che l’anno scorso non c’era.

Allungo un po’ la strada ma non ci sono problemi e comincio i 12 kilometri che mi porteranno ai 2244 metri del Passo Sella e subito mi accorgo dalla velocità che le pendenze non sono certo quelle del passo Valles. Forse sarà perche sono un po’ più allenato, comunque le prime sensazioni sono buone. Dopo un kilometro circa comunque mi fermo per mangiare qualcosa e vengo superato da una dozzina di ciclisti di mezza età, alcuni dei quali non certo col fisico da “grimpeur”, che affrontano la salita con un’organizzazione un po’ diversa dalla mia: io mi sono portato tutto dietro nelle borse, loro hanno addirittura una (e forse anche due) persona col furgone che gli passa le borracce a metà strada.

La prima metà della salita è in comune con quella del passo Pordoi, la strada è bella larga, ancora bagnata dal recente temporale e non presenta particolari difficoltà:al bivio per i due passi mi accorgo di aver fatto la scelta giusta ad andare per il Sella visto che stanno asfaltando proprio la strada per il Pordoi. Riesco a sentire le imprecazioni dei ciclisti “organizzati” che sono costretti a fermarsi.

Dopo circa un kilometro la strada spiana un po’ e così riesco anche ad ammirare il panorama, sempre splendido, con il massiccio del Sella che sembra lì davanti a sbarrare la strada. Sono preoccupato dai nuvoloni in alto ma dopo poco il cielo si riapre e l’ultima parte della salita la faccio sotto il sole. Alcuni spettacolari tornanti preannunciano l’avvicinarsi del passo e mi fermo per scattare un paio di foto: purtroppo i nuvoloni che sembra stiano scendendo verso la Val di Fassa nascondono la vista della Marmolada e anche quando arrivo al passo, nei tempi previsti e con il solo ritardo della sosta di Pozza, il cielo si ricopre un po’ e, come al solito, non riesco a scattare una bella foto al Sassolungo, che sembra perennemente nascosto dalle nuvole. Non fa troppo freddo e per fortuna non c’è nemmeno tanto vento, con calma mi vesto e parto verso la discesa che mi porterà ad affrontare poi la salita al passo Gardena: è passato da poco mezzogiorno e mi ricordo di un locale proprio a metà della salita e decido di arrivare fin lì per il pranzo. Il locale è di proprietà di un ex nazionale di sci alpino che ha partecipato anche alle olimpiadi: mangio un bel piatto di späztle, gnocchetti di spinaci con panna e speck, e riparto verso la seconda, e ultima salita della tappa. La salita al passo Gradena da questo versante presenta un tratto praticamente in falsopiano di poco più di un kilometro (Pian de Gralba) che permette di riposare un po’ oltre che di vedere tutto il tratto conclusivo della salita ed i suoi tornanti. La vista è uno spettacolo, è uscito il sole e l’aria è limpida per il temporale appena passato. Le foto che scatto all’arrivo al cartello che segna il passo ne sono una testimonianza. La lunga discesa (12 km) che porta prima a Colfosco e poi a Corvara è molto spettacolare e praticamente tutta “a vista”: dai primi tornanti infatti si vede benissimo la strada fin quasi in fondo.

Non c’è nemmeno tanto traffico anche quando al bivio di Corvara prendo la strada per la Val Badia per raggiungere prima San Vigilio di Marebbe e poi Brunico.

La strada è quasi tutta in leggera discesa e passo via con comodità tutti il piccoli centri e praticamente senza difficoltà arrivo a San Vigilio dove quasi mi prende un colpo: per gli eterni lavori di sistemazione della strada che da qui porta a Brunico, le macchine e le moto devono prendere la deviazione che, attraverso il passo Furcia le porterà in val Pusteria all’altezza di Valdaora.

Il passo Furcia è stata una delle salite decisive dell’ultimo giro d’Italia e si arriva anche lì oltre i 2000 metri. Per fortuna la strada (in discesa) verso Brunico è comunque aperta e devo fare attenzione solo alla strada, ancora piena di buche, all’incrocio con i mezzi pesanti e ai vari semafori all’altezza dei cantieri aperti.

Quando sto per uscire in val Pusteria chiamo per la conferma del mio arrivo l’albergo dove ho prenotato: sono circa le 15.30 e avviso la titolare che mi ci vorrano due ore abbondanti. La signora, stupita, mi dice che da Brunico a Dobbiaco ci si mette poco più di mezz’ora…non aveva capito che ero in bici.

Quello che più temevo all’uscita della statale della Val Pusteria è il traffico, intensissimo e continuo: la prima difficoltà, dopo una lunga salita, è una lunga galleria che al cui imbocco scopro che sarebbe vietata alle bici: ho fatto ormai troppa strada e non ho nessuna intenzione di tornare indietro e per fortuna la corsia chiusa per lavori di rivestimento delle pareti è praticamente tutta libera e quindi posso deviare dalla corsia di marcia per non intralciare il traffico.

Sapevo che avrei dovuto affrontare i corca trenta kilometri che separano Brunico da Dobbiaco sempre in costante salita, ma speravo che almeno non ci fosse tanto vento, che invece continua a darmi fastidio. Quando il vento cala, si mettono di mezzo i solti, infiniti, cantieri di lavoro che fino praticamente a Valdaora causano continue interruzioni. La bici mi permette qualche zig-zag tra macchine e camion e riesco a non perdere tanto tempo.

Passata Valdaora ed il bivio per la valle di Anterselva, sulle prime rampe di una salita vedo un ciclista che prende una deviazione per tornare verso Monguelfo: è probabilmente una pista ciclabile, ma non mi fido e continuo per la statale fino ad arrivare nei pressi di Monguelfo dove dovrei prendere la strada che porta fino in centro, visto che la nuova galleria sarebbe vietata alle bici, ma anche qui me ne accorgo all’ultimo momento e nonostante le segnalazioni degli automobilisti, decido di continuare.

Non mi ferma nessuno, ma evidentemente per questa mia “contravvenzione” c’è una multa da pagare ed infatti all’uscita della galleria trovo un vento fortissimo che mi impedisce quasi di andare avanti.

La strada che da Monguelfo attraverso Villabassa porta a Dobbiaco sembra allungarsi sempre più e devo fermarmi a Villabassa perché ho finito le scorte d’acqua:

riparto un po’ rinfrancato per gli ultimi kilometri: a Dobbiaco c’è lo spartiacque tra i bacini dell’Adige (alimentato dal fiume Rienza) e del Danubio (alimentato dalla Drava): tutti due i fiulmi nascono proprio nei pressi del paese dove mi sto dirigendo che, quindi, rappresenta l’apice della salita, che termina proprio nei pressi dell’albergo.

Sono circa le sei e dopo 131 kilometri posso parcheggiare la bici in garage e raggiungere la mia camera.

 

SABATO 26 GIUGNO

QUARTA E ULTIMA TAPPA

DOBBIACO-GRADISCA 184,5 KM

 

Il progetto originario prevedeva il ritorno a casa per la strada che normalmente percorro per raggiungere Dobbiaco durante la stagione invernale, cioè attraverso il passo di Monte Croce Comelico e Sappada.

Tenuto conto che questo percorso non mi avrebbe offerto niente di nuovo dal punto di vista paesaggistico e che lo conoscevo ormai come le mie tasche, durante le prime tappe avevo preso in considerazione la possibilità di rientrare a casa sconfinando in Austria e rientrare in Italia attraverso un altro passo Monte Croce, ma questa volta quello Carnico, non certo della distanza che avrei dovuto percorrere.

Presa così la decisione, sabato mattina, con un tempo apparentemente stabile parto da Dobbiaco prendendo subito la pista ciclabile che, in teoria, avrebbe dovuto portarmi direttamente a Oberdrauburg dopo circa 60 kilometri praticamente tutti in costante discesa.

Le prime difficoltà nel trovare la strada giusta le incontro a San Candido, ma è solo una piccola deviazione e mi avvio tranquillo verso il confine di stato. A Versciaco, l’ultimo paese italiano, la pista si interrompe bruscamente per lavori in corso e dopo avere girato a vuoto per un po’ decido di tornare sulla statale per riprendere la pista ciclabile quando sarò in Austria.

Arrivo infatti a Sillian, primo grosso centro austriaco sulla strada per Lienz dove ritrovo la pista che avevo percorso un paio anni fa in senso contrario ma con gli ski-roll.

La pista è splendida, tranquilla e, soprattutto, tutta in discesa e la media oraria di conseguenza rimane piuttosto alta. La costante presenza della Drava mi rassicura sulla direzione e contribuisce a mantenere la temperatura fresca.

Arrivo a Lienz dopo poco più di 40 km e anche qui la pista ciclabile si interrompe: seguo le indicazioni per riprenderla dopo la cittadina non prima di una sosta in un supermercato per il pieno di bevande.

La pista riprende dopo un paio di kilometri ma c’è subito una spiacevole sorpresa: il percorso è ben segnalato e quindi non mi posso sbagliare ma è sterrato e quindi, con il peso delle borse non mi posso permettere di seguirlo fino in fondo e torno sulla statale che corre parallela per raggiungere Oberdrauburg dove girerò in direzione Italia.

Subito affronto la prima salita della giornata che mi porterà ai quasi mille metri della Gailberghohe in circa 7 kilometri. La salita è regolare e non troppo impegnativa e rappresenta un bel rodaggio in vista dela passo di Monte Croce Carnico.

Dopo una discesa tranquilla arrivo a Mauthen, ai piedi del passo, dove mi fermo per mangiare un po’ e riposare.

Quando affronto le prime rampe della salita sono circa le 13.30 e l’impegno è subito molto duro. Lunghi rettilinei e pochi tornanti caratterizzano la prima parte della salita e la pendenza è notevole. Oltretutto la fatica è disturbata da un traffico di moto molto rumoroso intenso, ma fra poco scoprirò il perché.

La salita è lunga circa 12 kilometri e mi preoccupa il fatto che possa essere così dura fino in cima ma circa a metà trovo una piacevole sorpresa, un lungo tratto in falsopiano e discesa che mi permette di guadagnare kilometri e tempo.

L’ultimo tratto, tutto in mezzo al bosco, è caratterizzato da lunghe gallerie di recente costruzione sotto le quali il rumore delle moto è insopportabile: quando raggiungo un albergo dove il paesaggio fa dimeticare la salita mi sembra di avercela fatta, ma il passo è ancora lontano. La salità si fa ancora dura, tutta in galleria e le moto fanno sempre più rumore e la presenza di un impianto che sfrutta il vento per la produzione di energia con le sue pale che girano è piuttosto inquietante.

Quando manca poco al passo una strada laterale mi permette di evitare l’ultima galleria e mi conduce al passo dove c’è un certo traffico e tanta gente in sosta.

Non riesco a scorgere il cartello che indichi il passo e la presenza di tanta gente mi fa desistere dallo scattare una foto che documenti l’arrivo in vetta.

Comincio così la discesa vero Timau e Paluzza e subito devo fare i conti con un autotreno che va a passo d’uomo e causa una lunga coda di macchine dietro di se’. Mi dico che non posso andare in discesa a 15 km all’ora e alla prima occasione faccio il matto e lo supero.

Subito la velocità ne guadagna e passo veloce Timau dove comincio a capire il perché di tante moto: il raduno annuale dei “motars” che si teneva di solito a Villanova si tiene quest’anno sullo Zoncolan e quindi tutte le moto sono dirette lì.

Sulla discesa dopo Timau verso Paluzza la velocità (oltre 50 km ora) e il vento mi fanno volare via i berretto ma il traffico e la confusione mi consigliano di non fermarmi a recuperarlo.

Passo veloce Paluzza e subito vengo preso dal dubbio che ad Arta Terme la strada sia ancora chiusa e la devizione mi costringa ad un nuovo impegno in salita: per fortuna i lavori sono terminati e riesco a raggiungere Tolmezzo abbastanza tranquillamente. L’unico dubbio che mi rimane è quello di trovare subito la strada giusta per arrivare al lago di Cavazzo senza girare troppo per la cittadina carnica. Ce la faccio senza problemi e comincio l’impegnativo saliscendi che mi porterà a Somplago e per fortuna trovo una fontana che mi permette di fare un buon rifornimento d’acqua: Altri ciclisti approfittano della stessa fonte e così scambio alcune parole raccontando loro la mia avventura che si sta per concludere.

Mi sto avvicinando ai 150 km percorsi e ormai sono certo che stabilirò il mio record personale di kilometri percorsi in un giorno solo quando poco dopo Peonis passo davanti al monumento a Bottecchia, dal quale a casa ci sono circa 30 kilometri.

Ho ancora il dubbio se a Cornino debba procedere dritto per Pinzano o girare per Cimano-San Daniele.

Visto che vogli evitare di ripercorrere le stesse strade percorse nella prima tappa decido di proseguire per Cimano, Muris, Ragogna e Aonedis per uscire a Villanova e arrivare a casa attraverso il ponte di Dignano. Non sono stanchissimo e riesco a spingere ancora sui pedali con una certa forza, aiutato dal fatto che da Villanova in poi la strada sia tutta in discesa.

E’ la prima volta che nei miei giri a tappe che rientro a casa da questa parte e il ponte di Dignano rappresenta l’ultima difficoltà doprattutto all’incrocio per Gradisca a causa del traffico intenso.

Ormai sono arrivato, stanco ma soddisfatto, e quando arrivo a casa il contachilometri segna 184 km e mezzo in dieci ore di viaggio, al netto delle soste.

Una bella soddisfazione, anche perché stabilisco il mio record di kilometri dei mieri tour, raggiungendo circa 560 kilometri in quattro tappe, senza tener conto dei kilometri in mountain bike percosi in val di Fiemme.

Mi faccio fare una foto all’arrivo, mi sembra giusto documentare una piccola impresa.

 

 

 

 

 

CICLOTOUR 2004ultima modifica: 2011-02-11T18:12:00+01:00da maxpres8
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